Wine Influencer. Calamità naturale o risorsa?

wine influencer

Wine influencer Si o No? Discussione semiseria su un argomento controverso che rischia di alimentare fraintendimenti e speculazioni. Proprio per evitare il vortice delle polemiche scopriamo subito le nostre carte per scongiurare di essere etichettati pro o contro i wine influencers. In tutta onestà viviamo bene con e senza di loro. Mettiamo i puntini sulle i. Enoracolo è un blog a tutti gli effetti, libero e indipendente. Come potete vedere non abbiamo banner pubblicitari ne richiami a sponsor. Non vendiamo prodotti. I nostri articoli relativi alle presentazioni delle cantine sono sporadici. Da queste non prendiamo un centesimo di euro. Non abbiamo mai chiesto soldi e nemmeno ci sono stati proposti. I vini che degustiamo li paghiamo con le nostre tasche. Ci autofinanziamo. E’ un piccolo blog che trova fondamento sulla passione del trattare di vino. Le spese sono pochissime e non abbiamo mire espansionistiche se non quello di vedere la nostra reputazione migliorare agli occhi di chi di vino se ne intende veramente.

Tutta questa premessa per tirare giù la carta più importante. Ovvero siamo nati con la ferma convinzione di non voler essere dei wine influencer. Non ci interessava e non ci interessa minimamente influenzare le vendite. Perchè di questo si tratta. Influenzare le vendite.

Un bel giorno ci siamo svegliati e ci siamo chiesti: ma noi, che non proviamo assoluto interesse nel settore della promozione enologica, e che ci teniamo a distanza dalle tentazioni di influenzare le masse, siamo sicuri di non essere , in qualche modo, dei wine influncers? La risposta è scontata, lo siamo. E molti di voi che stanno leggendo questo articolo e si reputano “no wine influencer“ tanto da far impallidire un “no vax”, sono senza ombra di dubbio dei wine influencer della peggior specie. Perchè non sanno di esserlo.

CHI E’ IL WINE INFLUENCER

Spesso la diatriba contro gli influenzatori porta con se la privazione del significato primordiale del termine in funzione di una chiave di lettura esclusivamente moderna nata sull’onda dei social media. Recuperiamo quindi il significato originale della parola. Chi è il wine influencer?

E’ colui che ha le capacità di raggiungere un pubblico più o meno ampio nell’ambito dei social media e che riesce a veicolare verso questo pubblico dei messaggi promozionali di brand e aziende con il fino ultimo di aumentare la visibilità del brand stesso e di conseguenza le sue vendite. Mette in gioco, quindi , la sua immagine social per indirizzare il traffico web applicando delle strategie di ottimizzazione, massimizzazione e espansione del campione di riferimento.

Questo ha portato alla guerra verso i wine influencer che sono visti come i demoni che suggeriscono vini scadenti, o di cui non sanno neanche pronunciare il nome. Sono visti come personaggi dalla dubbie capacità enologiche e privi di fondamenti tecnici consolidati. Spesso vengono additati come individui che antepongono le tette e gli addominali al vino, e che accrescono il loro seguito più per l’impatto erotico che non quello alcolico. Instagrammer che scopiazzano le recensioni. Proprietari di profili facebook che alimentano scontri e polemiche nei vari gruppi per attirare l’attenzione verso uno specifico prodotto. Perchè no, anche quelli che scrivono libri di vino senza avere neanche uno straccio di laurea in materia.

Mi domando dove sia il problema. E cerco la risposta.

La prima cosa che mi è venuta in mente è l’immagine di Marilyn Monroe, testimonial inconsapevole ( così si dice) del profumo chanel n°5. Tenetela presente perché ci torneremo alla fine.

UNA STORIA VECCHIA COME IL MONDO

Ricordate lo spot di Catherine Zeta Jones per la promozione dell’alfa romeo 159? Le femminucce sono giustificate ma se voi maschietti non la ricordate allora avete passato un 2001 pessimo. Bene la su citata attrice mostrava un bel pezzo di se mentre cercava di entrare in auto. Secondo voi Catherine è stata scelta perché sa come si smonta e rimonta un motore alfa romeo 159? No. È stata scelta principalmente per due motivi. Piaceva al pubblico e aveva un fisico da urlo.

Le due componenti messe accanto all’automobile facevano si che l’auto stessa restasse in memoria dello spettatore. Che ci crediate o no ha preso una barca di soldi. Ma nessun meccanico ha fatto una campagna contro l’attrice perche promuoveva un auto che forse non aveva neanche mai guidato.

Passiamo a Cristiano Ronaldo che pubblicizza lo shampoo clear. Ho forti dubbi che abbia conseguito uno straccio di diploma in “barba e capelli”. Dubito anche abbia mai fatto il garzone in qualche barber shop. Sono pronto a scommettere due euro ( non posso di più) che non ha un laurea in chimica, farmacia, biologia e affini tali da consentigli di progettare uno shampoo. E allora perché mai la clear ha affidato a CR7 l’immagine? E poi, non sarebbe stato meglio per il fuoriclasse portoghese associare il suo volto ad un prodotto sportivo? Certo, lo fa gia. E magari ha più senso. Si. Ha più senso per coloro che hanno difficoltà nel fare le addizioni con la calcolatrice.

Perchè il senso c’è, è chiarissimo. CR7, come Catherine Zeta Jones h,anno un pubblico che li apprezza. Si chiamano fans. I quali si lasciano consigliare dai proprio beniamini. Oggi questi fan si chiamano follower. Strano vero?

E comunque, restando in tema, nessun cosmetologo ha accusato CR7 di pubblicizzare uno shampoo senza averne le competenze.

LA SCOPERTA DELL’ACQUA CALDA.

Ora che abbiamo scoperto come i grandi brand scelgono i propri testimonial possiamo dare a questi ultimi una definizione. Senza ombra di dubbio possiamo etichettarli come influencer. Certo perché prendono bei soldi, tanti soldi, per consigliare ad un pubblico un prodotto con lo scopo ultimo di aumentare le vendite.

Che ci crediate o no questa strategia è millenaria. Ma senza andare alla preistoria basta soffermarci al caso Marylin Monroe prima anticipato. Ebbene Marylin era o non era una parfum influencer? Non c’è bisogno che vi risponda.

Chiudiamo questo primo argomento. Quelli che oggi sia chiamano influencer sono sempre esistiti, non è un prodotto social e non sono stati inventati nel terzio millennio come vogliono farci credere. L’unica differenza è che fino a qualche anno fa si chiamavano testimonial, prima ancora si chiamava volti pubblicitari. Ma il succo non cambia.

I WINE INFLUNCER DIVENTANO RISORSA PER LE PICCOLE CANTINE

Quello che cambia radicalmente sono invece i canali pubblicitari. Nascono i social e muore definitivamente il sistema ad accesso chiuso della promozione. Esatto, perché fino a qualche anno fa le possibilità di promuovere su scala nazionale ed internazionale era racchiuso nei mezzi televisivi, radiofonici e sull’editoria in genere. Parlo di sistema chiuso perché l’accesso non è alla portata di tutti. Promuovere un prodotto su queste piattaforme è talmente costoso che solo i grandi brand possono permetterselo. E le piccole realtà? Si attaccano al ciufolo.

Così per anni solo poche grandi aziende vitivinicole portavano nelle case degli italiani il loro marchio. Avendo ben poca concorrenza le vendite venivano massimizzate.

Poi grazie al progresso e alla tecnologia nascono i social. Non smetterò mai di ripetere che questo cambiamento ha portato un incremento delle possibilità e la nascita di grandi opportunità per tutti coloro che hanno grandi potenziali ma poche possibilità per mostrarli.

Con i social nascono gli influencer di piccole e medie dimensioni. Non più i CR7 e Catherina Zeta Jones, ma il sommelier o l’enologo che iniziano a proporre i loro suggerimenti alcolici sulle piattaforme.

La strategia che usano è semplice. Si creano un pubblico di affezionati che per svariati motivi li segue con passione. Aumenta la loro audience e la presa sui loro fans. Tanto da attirare l’attenzione di cantine, produttori e agenzie che iniziano a vedere in questi personaggi un modo economico e veloce per ampliare il proprio pubblico.

Quindi se fino a 10 anni fa era necessario pagare 1 milione di euro una star del cinema, della musica o dello sport, oggi con cifre abbordabili si può associare una etichetta ad un volto social. Chiaramente la platea è molto più piccola ma sicuramente selezionata e interessata. Pubblicizzare un vino in tv significa veicolare il messaggio verso l’intero universo, incluso gli astemi, minorenni etc. Nel caso di un wine influencer serio possiamo dire con quasi certezza che la maggior parte dei suoi followers hanno interesse nella categoria di prodotti che propone.

LA GUERRA FARLOCCA AI WINE INFLUENCER

E qui scoppia il pandemonio. In breve tempo nascono profili social che non dimostrano tutte queste competenze. Eppure hanno una presa sul pubblico maggiore rispetto a chi da anni ha un nome consolidato e riconosciuto. Il pandemonio nasce perché come accennato, i nuovi wine influencer tendono ad esaltare il prodotto con strategie ricche di escamotage che svuotano i contenuti tecnici.

Nasce quindi la guerra tra esperti e wine influencer, dove i primi accusano i secondi di non avere le competenze per consigliare un vino. Questo è l’errore più grande che nel web e nei social si possa fare. E spiego il motivo.

Innanzitutto come l’esempio di CR7 e Jones per promuovere un prodotto non è necessario avere una competenza. Gli acquirenti seguono i consigli perché influenzati dalle componente emozionali che trasmette il messaggio e il comunicatore. Non sempre si lasciano attrarre dalla componente tecnica dell’input pubblicitario. In breve, potete essere i migliori sommelier del mondo, gli enologi più forti del globo, ma se non fate presa sul pubblico non riuscirete mai ad influenzarli.

Il secondo aspetto è che tutte le cantine, in base alle loro possibilità economiche, hanno il diritto di pubblicizzarsi. E grazie a questa pubblicità possiamo scoprire etichette che per noi erano sconosciute. Vi ricordo che in Italia abbiamo quasi 300 mila aziende vitivinicole. Se ogni cantina ha in catalogo dalle 5 alle 15 etichette è facile capire che solo, e dico solo, in Italia abbiamo una infinita proposta degustativa. Voi quanti ne conoscete? Certo se ogni cantina avesse come possibilità pubblicitaria solo quella di investire in tv e radio molto probabilmente rimarremmo ignoranti su quello che il panorama vitivinicolo ha da offrire ogni anno.

IL WEB BASCE COME MONDO LIBERO. E LIBERO DOVRA’ RIMANERE.

Infine, piaccia o non piaccia il web e i social nascono come mondo libero. Un mondo in cui c’è una parola magica che tanto non piace ai nostri governanti: la condivisione. In questo mondo ci si scambia liberamente e gratuitamente informazioni. Un mondo dove nello stesso istante in cui si pubblica un post o un video è possibile raggiungere tutti i partecipanti. E’ possibile vedere il web come un luogo aperto dove le persone si legano per affinità e danno vita a discussioni all’interno di gruppi più o meno ampi. Proprio come avviene nella realtà in questi gruppi c’è chi attrae di più gli ascoltatori e riesce a far passare le proprie opinioni.

Un po’ come al bar , quando tutte le mattine i gruppi si incontrano intorno a cornetto e cappuccino ed iniziano a parlare di calcio o politica. C’è sempre quello che di calcio ne sa sempre più degli altri nonostante in vita sua non abbia mai tirato un calcio al pallone. Oppure quello che di politica sa sempre una più degli altri ma non legge il giornale e non segue il tg da anni. Attraggono. Imparate questa parola. E’ il potere dell’attrazione.

LA LOTTA AL MONOPOLIO PIBBLICITARIO

Tutti ciò ai cultori dello skill, delle conoscenze, della preparazione tecnica non va giu. Ma non piace neanche a chi per anni ha monopolizzato questa comunicazione avendo la possibilità di proporsi sui canali unici e preferenziali. Non piace neanche a quelli che hanno visto decadere il proprio status di fronte all’arrivo delle nuove leve social. La conseguenza è la nascita del complesso del pene piccolo. Si perchè si inizia a temere di aver frainteso le proprie misure quando il competitors presenta le proprie. E come avviene in questi casi si cerca sempre di risolvere questo disturbo attraverso l’esclusione e estromissione dal sistema dell’elemento che ha causato il disturbo stesso. E la strategia migliore è quella di chiedere le certificazioni e il curriculum per poter ergersi all’interno di un sistema quale quello del vino.

Si inizia a vociferare che non tutti dovrebbero scrivere o parlare di vino, perché non avendo le competenze si rischia di infettare il settore di eresie facendolo collassare. Ma cosa vi inventate?

SUPERIAMO IL COMPLESSO DEL PENE PICCOLO

Comunque sono qui per risolvere il complesso. Abbandonate l’idea che solo ed esclusivamente voi abbiate la facoltà per discorrere di vino. Non la avrete mai. Non c’è e non si sarà una legge nazionale o divina che vi delegherà l’esclusiva della comunicazione enologica.

Poi iniziate a riflettere sul fatto che comunicatori ci si diventa e il divenire comunicatori consiste nello studiare, e tanto, tecniche , pratiche e strumenti per scardinare le porte del web e dei social. Coloro che hanno un potere più attrattivo di voi hanno giocato su questo fattore. Magari hanno meno competenze in materia ma sanno trucchi e segreti per muoversi nel labirinto.

Infine prendete confidenza con le vostre misure e accettatele. A volte è meglio avere un piccolo pubblico affiatato e consapevole che non un ampio seguito che non vi regala soddisfazione. In parole povere coltivate le vostre competenze e mettetele a disposizioni di chi è come voi.

IL DIRITTO DI CRITICA E IL DOVERE DI RISPETTO.

Mi permetto di toccare un altro argomento che è invece inerente al modus operandi con cui viene portata avanti questa diatriba. Quanti ne conosco di personaggi che brandiscono come una spada il diritto di critica. La consapevolezza di aver garantita la possibilità di dissentire. Come è giusto che sia. Di affermare e rendere pubblico la propria opinione e il proprio giudizio su cose e persone indistintamente. Diritto sacrosanto. Di cui anche io mi ergo a paladino. Salvo ricordare però la differenziazione tra critica costruttiva ( costosa e rara) e critica distruttiva ( inutile, gratis e frequente). E prediligere la prima alla seconda. Ma soprattutto, visti gli ultimi casi usciti sui social e sul web, vorrei ricordare che non c’è critica senza rispetto. E che se è lecito criticare è doveroso farlo nei dovuti modi. Purtroppo quando il complesso del pene piccolo ha la meglio sulla ragione questi modi gentili ed educati vengono sistematicamente ignorati. E questo è l’aspetto più becero nella guerra tra wine influencer contro no wine influencer.

FAI MEA CULPA. ANCHE TE SEI WINE INFLUENCER.

E siamo arrivato all’ultimo tassello. Il mantra “io non sono e non sarò mai un wine influencer.”.

Lo abbiamo chiarito per tutto l’articolo. Il termine intende proprio la capacità di influenzare il pubblico e non richiede la consapevolezza del gesto. Tutti siamo influenzatori. Anche semplicemente mettendo una foto di un vino con relativa scheda tecnica, per quanto oggettiva possa essere. Per quanto onesta. Per quanto vuota di contenuti emozionali. Ci sarà qualcuno che la leggerà e nascerà in lui la curiosità di assaggiare quel vino. E magari lo cercherà su internet o in enoteca. Lo acquisterà . Lo degusterà. Eppure lo scopo ultimo del vostro post non era portare un cliente in enoteca.

E superiamo anche il mantra conseguente “Non sono un wine influencer perché non percepisco denaro”. E allora? Se proprio dobbiamo vederla in questo modo presumo debba suddividere i wine influencer in due categorie, i pirla che non si fanno pagare ( di cui noi di Enoracolo facciamo parte) e i furbi che invece sanno dare un valore al loro lavoro.

Non è necessario percepire denaro per essere etichettati wine influencer. Al massimo ciò potrebbe essere la linea di demarcazione tra influencer professionisti e non professionisti. Ma dal momento che si pubblica una sola foto, una recensione o si tratti un argomento rispetto ad una etichetta automaticamente si diventa wine influencer.

Il mio consiglio è quindi quello di accettarsi. Così come siamo. Wine influencer con le proprie dimensioni. Anche se non vogliamo esserlo.