Che tu sia un operatore del settore, un critico enogastronomico, uno chef o semplicemente un appassionato del cibo made in Italy metti in calendario la diciottesima edizione di Pitti Taste 2025 dal giorno 8 febbraio al giorno 10 come sempre a Firenze, come sempre presso la Fortezza da Basso.L’importanza di questo evento non ha certo bisogno del nostro consiglio per convincerti a partecipare. Ma noi vogliamo raccontarti cosa perderai se ti lasci sfuggire questa occasione. Sette motivi per partecipare a Pitti Taste ti guideranno a scoprire la manifestazione fin da subito. Pratica che facciamo spesso, cosi come accaduto per il Chianti Classico Expo.
Oltre 700 Aziende enogastronomiche a Pitti Taste
Partiamo dal tassello più importante. Quest’anno a Fortezza da Basso sarà superato il muro delle 700 aziende produttrici di Made in Italy enogastronomico. Tutte le regioni, ma veramente tutte, sono rappresentate. Ognuna porterà sui banchi di assaggio l’eccellenza di zona. Grazie a questi importanti numeri troverai veramente di tutto. Ogni tipologia gastronomica sarà degnamente rappresentata. Dai formaggi agli affettati, dal pane alla pasta, dall’aceto all’olio passando per tartufi e dolci. Ma non solo cibo, anche vino, birra e distillati. In una sola occasione conoscerai l’intero patrimonio enogastronomico del bel paese.
Solo l’eccellenza al Pitti Taste
Pitti Immagine è un marchio di affidabilità per quanto concerne promozione e comunicazione dei grandi brand italiani. Nel corso degli anni ci hanno abituati alla ricercatezza della qualità in tutti i settori merceologici da loro trattati, moda, design, enogastronomia, profumi. Qualità che viene tradotta nella selezione di prodotti di alta gamma. Al Pitti Taste troverai solo il meglio del meglio. Se vuoi fare un viaggio emozionale nel food italiano, o vuoi stringere accordi commerciali questo è l’evento giusto. In un colpo solo potrai confrontarti con le aziende top del settore. Ai banchi di assaggio troverai i rappresentanti delle aziende pronti a mostrarti le loro lavorazioni e ascoltare le tue richieste.
Prodotti a km 0.
Non poteva certo mancare la grande attenzione verso le richieste del mercato odierno. Non poteva certo mancare uno spazio ai prodotti a km zero. E questo è un vero fiore all’occhiello di Pitti Taste, in un mondo in cui è difficile raccogliere un contenitore di questa tipologia di prodotti, l’azienda fiorentina anticipa tutti e propone all’interno del Taste un’area dedicata alla filiera corta. Tra gli stand quindi anche i piccoli produttori locali che commercializzano direttamente con il consumatore a testimoniare come Pitti Taste non si rivolga solo ad un mercato orizzontale quanto invece alla verticalità del consumo di prodotti di alta qualità.
I Pitti Taste talks
Pitti Taste è anche comunicazione e cultura. Non possono mancare i grandi appuntamenti con esperti del settore pronti ad offrire conoscenze e competenze nella enogastronomia. Tanti gli appuntamenti correlati in questi tre giorni.
Si farà formazione in ambito Horeca, con il meeting “Creare valore con la formazione: dal sapere al saper fare in cucina”, a cura di Federico Lorefice di “Grande Cucina” e “Congusto”.
Un focus sulle colazioni in hotel con l’incontro “La messa in valore della colazione in hotel come esperienza, legame con il territorio, punto d‘incontro anche business”, con l’esperto di marketing alberghiero Federico Belloni.
Da sottolineare il convegno sulla comunicazione in ambito enogastronomico dedicato in particolare al food writing, dal titolo “Le parole per dirlo”. Appuntamento imperdibile per blogger, influencer e giornalisti enogastronomici per arricchire le proprie competenze e scoprire le ultime novità del settore.
Opportunità importante per le aziende che vogliono capire come entrare nei mercati degli Emirati Arabi Uniti e dei Paesi del Golfo sarà l’incontro con Valeria Kuhar, la quale mostrerà le strategie e le strade da seguire per raggiungere questo obiettivo.
Infine vi consigliamo vivamente di non perdere il focus sui vini eroici. Offerta più unica che rara. Un plus che Pitti Taste propone ai visitatori è proprio la possibilità di scoprire quelle aziende vitivinicole che producono nelle terre estreme. Un percorso degustativo e uno talks guidato da Alvaro De Anna.
Viaggio tra le costellazioni del gusto
Altra novità dell’edizione 18 è senza dubbio il taste ring di Davide Paolini. Una serie di eventi in scena all’UniCredit Taste Arena del Padiglione delle Ghiaie alla Fortezza da Basso che dai titoli “L'astrologia il cibo e il vino: quali affinità?”, “I fondi di investimento possono supportare la crescita degli artigiani del cibo?”, “La stella Michelin quale rapporto costi benefici riesce a creare?”, “L'import di olio in Italia supera l'export. Siamo consumatori insaziabili di olio importato o lo riesportiamo?”
Non solo food al Pitti Taste
Ed ora la sorpresa. Finora vi abbiamo parlato solo di food and drink. Ma Pitti Taste è anche altro. Come anticipato punta ad offrire un ventaglio di opportunità per il mondo Ho.Re.Ca. e per gli amanti dello stile e design della buona tavola.Non può mancare un’area dedicata al lifestyle con una selezione di accessori per la tavola e la cucina, che uniscono artigianalità e tecnologia. Qui troverete nastrifici per etichettare i vostri prodotti. Tessuti pregiati per arricchire la vostra tavola. Taglieri in legno costruiti artigianelmente per dare un tocco di classe ai vostri antipasti, progettazione di elementi di arredato e tanto altro.
Una location da scoprire
E’ una occasione per visitare Fortezza da Basso e immergersi in 5 secoli di storia. Attraversare le mura che la circondano, osservare la polveriera, percorrere i giardini e scrutare il mastio daranno alla vostra partecipazione al Pitti Taste il valore di aggiunto di avere scoperto uno dei tanti pezzi forte della cultura fiorentina. E già che ci siete, vista la vicinanza al centro storico, gustatevi una viaggio tra le meraviglie del duomo, palazzo della signoria e ponte vecchio. Vi aiuteranno a smaltire gli imperdibili assaggi del Pitti Taste perché, vi assicuro, non lascerete nulla di non assaggiato. Garantito.
Ci vediamo al Pitti Taste, tra gli stand delle eccellenze enogastronomiche italiane, alla scoperta di nuove meraviglie per la nostra tavola. Per acquistare il biglietto e scoprire le modalità di accesso visita il sito ufficiale di Pitti Immagine.
L’edizione 52 del Expo Chianti Classico è stato un successo. Come era prevedibile gia dal nostro articolo di presentazione. Il centenario del consorzio ha ricevuto gli onori che meritava. La piazza di Greve In Chianti colma di degustatori hanno certificato l’importanza di questo avvenimento, se mai ce ne fosse bisogno. Ma soprattutto la coesione delle aziende ha ricordato quanto la forza di questo prodotto risieda nella capacità organizzativa di coloro che investono in prima persona in questi territori.
Partecipando ad Expo Chianti Classico abbiamo avuto la fortuna di confrontarci con molti produttori. Ed è emerso un mondo fatto di certezze e sicurezze legate al loro vino di punta, ma abbiamo raccolto anche le speranze, le difficoltà e le curiosità che ruotano in questo universo. Il tutto riassumendo che la zona classica del Chianti resta un’eccellenza assoluta del nostro paese.
E tra una chiacchiera e l’altra abbiamo assaggiato dei vini insuperabili. Vorremmo raccontarveli tutti ma non è possibile. Riportiamo gli assaggi che, per diversi motivi, ci hanno colpito maggiormente. Li mettiamo in ordine cosi come li abbiamo provati, non c'è un vincitore assoluto ma tanti unici calici di Chianti Classico.
Torraccia di Presura.
Chianti Classico Riserva. Azienda relativamente giovane rispetto ai competitors ma con già alle spalle una buona esperienza. Promuove un Chianti classico riserva che fa della compattezza e struttura le sue armi migliori. Al naso ha una buona complessità. Vira su note terziarie legnose, con prevalenza di vaniglia e cioccolata, ma mai cosi irruente da nascondere il vitigno. La retrolfattiva è discretamente lunga, morbida, mai eccessiva. Un vino che ha solo 4 anni sulle spalle e deve ancora affinarsi, educando un po' il tannino.
I Sodi.
Chianti Classico Riserva. Situata in una delle zone più panoramiche di Gaiole in Chianti, l’esposizione dei suoi terreni permettono alle uve di ricevere sole in giusta quantità rinfrescandosi dai venti delle colline circostanti. Gli amanti del Chianti Classico troveranno in questo vino le caratteristiche organolettiche che tanto lo hanno reso famoso. I sentori del sangiovese sono spudorati. Aggressivi. Decisi. In bocca scalpita. Un buona acidità che si scontra con una presenza tannica degna di un vino giovane che ha davanti a se anni di maturazione. Anche in bocca colpisce per esplosività e caparbietà. Un vino da acquistare e mettere in cantina. Regalerà grandi emozioni.
Vignamaggio.
Gherardino Chianti Classico Riserva. Ci spostiamo a sud di Greve in chianti, alla porte di Panzano in Chianti. Un fattoria biologica con una cantina secolare, si hanno informazioni fin dal 1404. Nel calice ci troviamo questo sangiovese in purezza che emana profumo senza doverlo avvicinare al naso. Sensazioni ematiche importanti. Frutti rossi intensi. Alcune note balsamiche che lo arricchiscono notevolmente.
E’ un vino denso, corposo. In bocca si sente immediatamente la sua struttura che ruota verso una leggera morbidezza sul palato. Tannino ben levigato e acidità importante. La retrolfattiva è lunga e molto pulita. Lascia in bocca qualche leggero retrogusto terziario e una nota fievole di liquirizia.
Ci è piaciuto il suo essere polivalente. Ce lo siamo immaginati su tanti piatti. Dovremo fare un pranzo abbondante.
Castelvecchi.
Madonnino della pieve. Chianti Gran Selezione. Cantina adagiata sulle colline a nord di Radda in Chianti. Ha proposto una gran selezione frutto del raccolto di uva sangiovese proveniente da un unico vigneto denominato Madonnino posto di fronte alla pieve di Santa Maria Novella. Tre ettari di vigneto dai quali si ricavano 10.000 bottiglie. Una opportunità che non potevamo lasciarci sfuggire.
Naso speziato con il pepe nero assolutamente protagonista. Belle note balsamiche e vegetali. Sentori terziari molto educati. In bocca risulta immediatamente equilibrato. Ben bilanciato in tutte le sue sfumature. La retrolfattiva è importante. Con le note speziate che ritornano con una buona armonia. Il suo plus è sicuramente l’eleganza.
Terre di Perseto.
Chianti Classico. Tra tante riserve ecco emergere un chianti classico senza altri appellativi in tutta la sua fierezza. Ci troviamo nel comune più a nord ovest di questa zona, precisamente a San Casciano in Val Di Pesa. La cantina ha subito un profondo rinnovamento nel 2010 tecnologizzando il processo produttivo. Questa etichetta rispecchia un po' le anime dell’azienda. Giovane, dinamica, scalpitante, a tratti esuberante. Il colore rosso rubino acceso è un biglietto da visita che anticipa tutto di questo vino. I sentori ruotano a note vive e fresche. Frutti rossi, fiori rossi, profumi eterei mischiati alle spezie. In bocca ha un' entrata irruente che si ammorbidisce sul finale. Tanta speziatura nel fin di bocca e una retrolfattiva nitida e franca. Andrà piano piano equilibrandosi, come è giusto che sia. Il suo punto di forza è sicuramente un rapporto qualità – prezzo che non ha rivali.
Castellinuzza.
Chianti classico Riserva. La palma d’oro per le degustazione del vino più longevo assaggiato ad Expo Chianti Classico va sicuramente al chianti classico gran selezione 2013 che abbiamo potuto assaggiare in questo excursus a Greve in Chianti. Dopo 11 anni questo sangiovese presenta ancora un colore rosso rubino, acceso al centro, che va sfumando verso il granato sull’unghia. Il bouquet aromatico è complesso, Da frutta rossa matura ai fiori rossi. Una componente delicata di balsamicità si sposa a note erbacee. I terziari rimangano molto eleganti creando una cornice di tostatura e cacao. Il pepe e la componente ematica restano i direttori di orchestra.
In bocca è equilibrato. Tannino e acidità hanno trovato un ottimo bilanciamento con le parti morbide. La retrolfattiva è indimenticabile. Ci è piaciuto il suo essere completo nel suo genere.
Montemaggio.
Andiamo ancora un po' piu a sud con le degustazioni. Nel comune di Radda in chianti percorrendo la strada che porta al vicino Panzano in Chianti. Azienda dall’animo femminile, dove due donne del vino portano avanti un progetto interessante nel cuore del chianti. Il loro chianti classico riserva unisce tante anime. Al naso è sobrio ed elegante allo stesso tempo. I suoi toni non sono mai aggressivi anzi si distinguono per delicatezza creando un gioco di complicità tra loro. Ma ha un bel caratterino ed in bocca si fa sentire. Non è un vino a cui piace passere in osservato. Non si risparmia in piacevolezza ma senza andare troppo per lunghe. Al palato lascia ricordi di fiori di campo, amarena sotto spirito, un po' di tostatura. Non è troppo invadente ma allo stesso tempo non richiama velocemente un altro sorso. Su questo vino potremmo sbizzarrirci con gli abbinamenti. Volendo anche esagerando un pò e andare fuori dai soliti canoni. Magari riconoscendo il suo stile poliedrico. Bisogna attenderlo un po' tra un sorso e l’altro. La sua forza è quella di essere globale. Un vino che incontra e mette d’accordo gusti diversi purchè siano lontani dagli eccessi.
Savignola.
Azienda che territorialmente si colloca al centro del triangolo Greve in chianti, Lamole, Panzano in Chianti. Un cantina storica le cui radice risalgono al 1700 che con i suoi 5 ettari di superficie vitata riesce a produrre poco più di 20 mila bottiglie. Il suo chianti classico riserva percorre sentieri pochi battuti. Un vino denso e corposo alla vista quanto delicato e gradevole al palato. Profumi vegetali che raramente si possono trovare in questa bottiglia sono presenti in modo carismatico. Emergono i sentori classici del sangiovese cui però si aggiungono note caramellate molto delicate. La retrolfattiva gioca più sull’eleganza che non sulla persistenza. Un vino che si fa notare per essere originale. Una vera scopertad Expo Chianti Classico.
Castello di Querceto.
Azienda storica con un passato monumentale collocata a Greve in chianti, nella località di Dudda a soli 8 chilometri dal centro città. Il castello racchiude la storia di famiglie blasonate fiorentine, dai Pitti ai François. Una cantina che ha fatto la storia del Chianti Classico, essendo una delle 33 fondatrici e quindi firmatarie dello statuto. Abbiamo assaggiato il Picchio, un chianti classico gran selezione composto in gran parte da sangiovese ed una piccola aggiunta di colorino. Un rosso rubino accesso in tutte le sue parti fa spiccare sul calice una densità non indifferente. Si aggrappa al calice con decisione. Profumi sparsi di amarena, more, ribes insieme alla rosa. Una rosa appassita per essere precisi. Sensazioni erbacee e note di cioccolato sono evidenti. Non inficiano però il bouquet composto dai sentori primari. Non è un vino cui piace essere bevuto. Gli piace essere degustato. Piccoli sorsi per apprezzare un’acidità dirompente che lo renderanno un grande prodotto tra qualche anno. Retrolfattiva lunga, ancora un po' sbarazzina nelle note fruttate. E' piacevole la sensazione di discernimento con i profumi terziari quasi a ribaltare la scena. In complesso un vino che sta cercando il suo equilibrio e che non tarderà molto a trovarlo.
Castello di Monterinaldi.
Sempre nel comune di Radda in chianti ma subito a sud di Panzano in Chianti troviamo questa azienda con una estensione di 290 ettari, non tutti vitati. Solo 20 di questi porteranno alla nascita di circa 90.000 bottiglie l’anno. Anche qui la gran selezione ha raccolto il nostro consenso. Il 95% di sangiovese viene accompagnato da un 5% di canaiolo. E’ forse il vino più quadrato che abbiamo degustato. Forse quello che più si rispecchia lo schema del chianti classico. Sia nei sentori lineari e puliti del Sangiovese, sia nella presenza scenica della degustativa ha trasmesso un’anima squisitamente chiantigiana. Anche nella retrolfattiva abbiamo notato uno stile tradizionale, è stata premiata la tendenza ad equilibrare i vari elementi senza creare troppe contrapposizioni. Un vino che è piaciuto per essere assolutamente tematico.
Conclusioni
Questi sono i 10 assaggi al Expo Chianti Classico di cui abbiamo voluto raccontare, ma di vini interessanti ce ne sono stati tanti altri. Il nostro excursus ci ha regalato soddisfazioni. Molte. E’ stato interessante capire come il Consorzio del Chianti Classico riesca a promuovere e esaltare le potenzialità delle aziende vitivinicole di quest’area. Cento anni di lavoro e attività hanno permesso a questo vino di rappresentarci nel mondo. Suscita entusiasmo solo pensare come pochi comuni di una piccola zona tra Firenze e Siena sia riuscita a imporre un modo di bere. Uno stile gustativo. Un tradizione vitivinicola che tutto il mondo ci invidia. E’ stato un centenario di festa, soddisfazioni e meriti. Per avere maggiori informazioni circa il consorzio e il suo lavora visita il loro sito ufficiale.
Cantina La Salute. Un Colosso tra i giganti. Il buon vino questa volta ci ha portato nel trevigiano, ed esattamente a Ponte di Piave, sulle coste del corso del fiume dove prende vita la cantina La Salute.
Un nome insolito che racchiude in se storie di tradizioni, eventi e persone che hanno costruito un gigante tra i colossi. Un’azienda nata sulla forza e sulla convinzioni delle idee. Puntando forte sul prodotto autoctono ed investendo sulle risorse umane e territoriali. Credendo fermamente nel proprio lavoro e nell’esigenza di offrire un prodotto di alta qualità massimizzando la soddisfazione degli associati e limitando la spesa del consumatore.
Un nome curioso
In questo viaggio ci accompagna Adriano Marcuzzo, responsabile commerciale dal 2015.
Immancabilmente l’incontro inizia chiarendo quello che è il nome curioso dell’azienda. “Tutto nasce con la peste del 1630 a Venezia, quando fu costruita la basilica Madonna della Salute ” luogo in cui i veneziani riservavano le loro preghiere e richieste di miracoli. Venezia è costruita su piloni di alberi e il trasporto di questi tronchi avveniva dalle zone più a nord attraverso la navigazione dei fiumi con le zattere.
Come ci racconta Adriano “Uno zattiere aveva avuto modo di vedere questi miracoli in città e decise di costruire una chiesetta in onore della madonna della salute in zona Ponte di Piave. Nel 1969, quando nacque la cantina, abbiamo preso questo nome e allo stesso tempo abbiamo preso l’immagine della basilica per costruire il nostro logo aziendale”.
Gli step di crescita di Cantina La Salute
Processo produttivo Cantina La Salute
L’azienda nasce grazie all’unione di pochi soci che sul finire degli anni sessanta decidono di dar vita ad una cooperativa. Questo è il primo dei tre step più importanti della cantina La Salute.
“Nel 1968 i primi cinque soci si recarono in Francia per capire come funzionavano le cooperative in ambito vino. Da questa esperienza vennero poste le basi per la cooperativa piu piccola del Veneto. Questo fino al 2016. “ . Dobbiamo aspettare quarantanni per un secondo importante passo. ”Tra il 2013 e il 2014 abbiamo iniziato a mettere in bottiglia vino di qualità. Il mercato iniziava a richiedere il nostro prodotto in bottiglia per essere venduto in tutto il paese. Infine nel 2019 c’è stato un’ulteriore step con l’ingresso di nuovi soci e nuove proprietà cosi da poter coprire una superficie vitata di 970 ettari di cui una parte in friuli, zona che non coprivamo”.
Gli ultimi 10 anni sono stati focali per La Salute, l’ingresso di nuovi soci, nuove idee e nuove risorse ha permesso di superare un gap generazionale e rivoluzionare la commercializzazione del suo prodotto. Prodotto che iniziava ad essere richiesto sempre con più insistenza. Tutto ciò senza cambiare troppo fisionomia “La cantina La salute oggi gestisce tutta la filiera, mentre la produzione resta totalmente cooperativistica. C’è stato anche un cambio di approccio. E’ entrata la managerialità e l’attenzione verso il mercato anche quello internazionale. E’ stato investito molto sull’aspetto commerciale”
La gestione cooperativistica e la struttura commerciale
Il nostro interesse per questa azienda è nato proprio intorno alla modalità di gestione della cooperazione tra viticoltori. Si è distinta per il suo modo energico ed equilibrato di gestire una unione tra produttori riuscendo sempre ad alzare l’asticella qualitativa della materia prodotta e una successiva ottimizzazione della lavorazione della stessa. Interesse suscitato in noi perché le dinamiche di mercato oggi richiedono capacità gestionali e umane importanti per far convivere anime diverse in funzione del perseguimento di un obiettivo comune.
Adriano Marcuzzo ci conferma la complessità di gestire questo sistema, ma anche i vantaggi dello stesso “La gestione dei soci è fondamentale. Noi siamo una cooperativa grande ma con pochi soci. Questa fisionomia è più controllabile. E’ la struttura che indica ai soci cosa e come farlo in funzione della qualità, come ad esempio le direttive sulla vendemmia. A lavoro finito la cantina paga il prodotto in base alla sua qualità. Riconoscendo al coltivatore il buon lavoro fatto in vigna pagandolo il giusto prezzo.
Il risultato di queste linee guida è stato quello di mantenere alta la qualità delle uve e permetterci di percorrere due fasce di mercato, in cui quella più alta racchiude i migliori prodotti in vigna.
Il punto focale è la valutazione della qualità dell’uva che arriva in cantina. Quella è la fase in cui si fa selezione e si creano vini di qualità. I soci sanno che se vogliamo crescere devono produrre uve di qualità e questo gli sarà riconosciuto economicamente.”
Un secondo aspetto di grande rilievo è la salvaguardia della tradizione a partire dai vitigni autocotoni. Nella linea aziendale si possono trovare uve di Traminer, Raboso ma anche il Manzoni bianco. Non solo , quindi, perseguire l’optimus aziendale in termini di qualità del prodotto e dei risultati commerciali. Ma anche unicità e mantenimento della propria storia vitivinicola. Obiettivo realizzato solo grazie a sacrifici e collaborazione tra azienda e produttori .
Il responsabile commerciale de La Salute va fiero di questo risultato “Altro punto delicato è come permettere al produttore di mantenere vitigni che stanno scomparendo. Noi abbiamo bisogno di mantenere la produzione di uve più difficili e meno richieste, come il raboso o il manzoni bianco. Molti produttori sostituirebbero questi vigneti con uve più gettonate e più remunerative. L’azienda per non perdere questo patrimonio incentiva i produttori a mantenere questi vigneti sostenendoli economicamente.”
Il legame con il territorio
Anche il rispetto del rapporto tra terra e vitigno ha sempre avuto un posto importante nelle scelte aziendali “Noi abbiamo cercato di mantenere il risultato aziendale negli anni. C’è stata molta sperimentazione in passato e questo ci ha permesso di consolidare la produzione. Oggi siamo riusciti a distribuire i vigneti in veneto e in friuli in modo tale da massimizzare la qualità della vite. Ad esempio il cabernet sauvignon e il raboso vengono coltivati sulle dorsali del piave o similari. Sui terreni ghiaiosi. Abbiamo sfruttato le caratteristiche di una zona che storicamente ha dato grande risultati. Questo ci ha permesso di non stravolgere la produzione locale, anzi l’abbiamo mantenuta e sostenuta.”
Le vigne di Cantina La Salute
Il prosecco. L'arma in più di cantina La Salute
Ma veniamo alla vera impresa dalla cantina. Abbiamo parlato di un colosso tra i giganti. Perchè non dimentichiamo che la zona sui cui insiste la cantina e i terreni della cooperativa è circondata dalla valpolicella ad ovest e dalla viticoltura friulana del collio e dei colli orientali ad est (Leggi il nostro articolo sul gravel del friuli). Ma quanto è difficile fare a spallate con i giganti per ritagliarsi un posto in prima fila?
“E’ difficile fare a spallate con le altre zone più rinomate del veneto e del friuli. La nostra forza è stato il prosecco. Il prosecco ci ha aperto delle porte. Grazie a questo vino ci facciamo conoscere, poi i clienti scoprono che non facciamo solo prosecco ma anche altri grandi vini. Il fenomeno del prosecco è stato utilizzato come leva per portare a conoscenza tante aziende agricole che investivano sul merlot, cabernet sauvignon e altre vini ma che soffrivano la concorrenza dei vicini.
Per questo dobbiamo ringraziare i primi pionieri degli anni 70 che con le loro sperimentazioni sono riusciti a trovare nel glera un potenziale enorme tanto da poter competere con i grandi.
Successivamente grazie all’unione dei coltivatori che hanno puntato su un prodotto che aveva mercato si è avviato il fenomeno del prosecco.
Tutti i produttori seguirono quel treno perchè non sarebbe passato una seconda volta. Alla base di questo successo c’era una variabile fondamentale, ossia la crisi. Una crisi che ha portato a unire le forze e agire con coraggio.”
In fase di degustazione non abbiamo potuto fare a meno di notare che tutte le etichette hanno un comune denominatore. Ovvero sono tutti vini prodotti in purezza. “Abbiamo deciso di lavorare in purezza i nostri vini per potere sfruttare al massimo le loro caratteristiche. Cosi da valorizzare il prodotto che i soci ci fornivano. C’è l’esigenza di avere un’identità. Certo c’è difficoltà nel trovare una risposta nel mercato verso i vitigni meno noti.”.
Identità dei vini che viene rispettata anche in cantina “Quasi tutti i nostri rossi hanno un piccola percentuale affinata in botte. Ma solo una piccola parte. Anche questo per garantire i caratteri identitari. Abbiamo anche provato a proporre vini invecchiati ma non è nel nostro stile, non siamo la valpolicella.”
Adriano Marcuzzo svela chiaramente quali sia stata la chiave di volta per La Salute per aprire i mercati italiani “Il nostro prodotto di punta rimane il prosecco essendo anche il prodotto più venduto. Se riesci a vendere un prodotto di alta qualità cresce la credibilità. Subito dopo amiamo difendere i nostri autoconi come il raboso e il manzoni bianco. Ma siamo molto fieri anche di cabernet sauvignon, traminer e ribolla gialla perché sono completamente diversi rispetto ad altre zone più vocate.”
La forza commerciale di cantina La Salute
Abbiamo conosciuto questa azienda quando i suoi prodotti hanno iniziato ad apparire nei negozi specializzati e sulle tavole dei ristoranti della capitale. E’ partito quindi il viaggio per capire di più e capire meglio. E scoprire che questa realtà in pochi anni ha fatto passi da gigante sia in Italia che all’estero. “Al momento il 70% del nostro prodotto viene venduto in Italia, il 30% all’estero. Non abbiamo una forza vendite all’estero e i clienti li gestiamo direttamente. Per nostra filosofia facciamo crescere chi ci conosce. In Giappone, Cina e Stati Uniti abbiamo acquirenti con cui abbiamo ottimi rapporti.”
In cantina La Salute non si parla mai di consolidamento. Nel nostro incontro con il responsabile commerciale non abbiamo mai avuto l’impressione che l’azienda si sieda sui risultati , ottimi, ottenuti negli ultimi anni. Ma si continua a parlare di crescita. Di ampliare mercati, di migliorare il prodotto, di massimizzare il lavoro dei soci. E si fanno sempre progetti portando avanti un lavoro nato 55 anni fa.
“Dobbiamo continuare a perseguire la linea intrapresa tre anni fa. Sono vini apprezzati nel settore Ho.Re.Ca e vogliamo coprire tutta l’Italia su questo settore. Il nostro patrimonio gastronomico è ricchissimo e al fianco di una grande cucina c’è sempre un ottimo vino, quindi di spazi da coprire ce ne sono molti. Vogliamo poi incrementare l’espansione dei mercati emergenti come quelli dell’est. Anche perché sono popoli con cui abbiamo in comune molte cose cosi come i gusti. Infine è nostro obiettivo ampliare l’offerta della private label. Noi siamo pronti per offrire una etichetta personale di vino di alta qualità. Dove il ristoratore propone come vino della casa un prodotto che lui ha scelto e selezionato, questo è indice di attenzione verso il cliente”
La Degustazione dei vini Cantina La Salute
L’azienda mette in campo 16 etichette. Noi abbiamo selezionato 5 di queste per raccontarvi una degustazione. Selezione che è caduta sui prodotti più rappresentativi, attenzione dell’autoctono e bollicine.
Prosecco Rosè Doc extra dry Ventuno
Prosecco rosè a base di Glera e Pinot Nero. Colore rosa tenue tendente alla buccia di cipolla. Sentori delicati di rosa e ciclamino con evidenti note di fragola, emergono delle delicate quanto quasi impercettibili note di lievitazioni.
Il perlage è fine e costante. Si mantiene con consistenza per l'intera degustazione. In bocca la bollicina è delicata e gradevole.
La freschezza di questo rosato arriva immediatamente al palato leggermente sostenuta da un pizzico di sapidità.
Il retrogusto è tendenzialmente floreale e non molto persistenze. Un vino che si distingue per piacevolezza a naso e palato. Da abbinare con piatti non troppo succulenti ed in cui la verdura sia protagonista. Da provare anche con affettati giovani e non troppo speziati.
Valdobbiadene DOCG extra dry Millesimato Zater.
Saliamo molto di livello. Qui il prosecco raggiunge ottime vette. Glera al 100% con raccolta nella prima decade di settembre. Terreni con resa di 12.000 kg per ettaro. Affinamento sui lieviti per 30 giorni. Le bollicine sono fini, costanti. Al naso i sentori di lievitazioni regalano eleganza e sostanza. Emergono note pulite di frutta bianca non ancora matura e fiori bianchi di campo. Escono in modo un pò meno limpido profumi di erba di prato. Leggerissimo sentore di mineralità.
In bocca le bollicine donano sensazioni piacevolissime di freschezza senza mai essere irruenti. Sulla lingua sono armoniose e delicate. La sapidità bilancia l'acidità tanto da renderlo estremamente equilibrato. La retrolfattiva è mediamente lunga e costante per poi sparire e lasciare un sapore di buccia di mela e pompelmo. Una sensazione aspra unita ad una nota rotonda zuccherina, tanto da farci dimenticare si tratti di un extra dry. Questo è chiaramente uno dei prodotti di punta di Cantina La Salute.
Ribolla gialla Venezia Giulia Igt 2022:
Una ribolla gialla sui generis. I suoi 12,5% di tenore alcolico non devono trarre in inganno perchè ha comunque una buona struttura. Una piccola parte del vino matura in barrique per 5 mesi e questo fa la differenza. Il colore ci indica subito una lavorazione più complessa, è un giallo paglierino compatto, senza evidenti sfumature se non uno schiarirsi un pò in punta di calice.
Al naso oltre a note di mango, papaya, limone e pompelmo emergono delicate note di zucchero filato e vaniglia. A bilanciare i sentori interviene la margherita e profumi di erba appena tagliata. In bocca risulta compatto e denso. Note morbide e dure che si equivalgono e aprono la strada ad una degustazione lenta. Un vino che non richiede la bevuta compulsiva ma che invece accompagna gradualmente la degustazione.
Anche nella retrolfattiva troviamo struttura, non abbandona facilmente il palato ed emergono in modo ancora più evidente note vanigliate e di mela cotta.
Sauvignon Blanc Trevenezie igt Liette 2022.
Vinificazione esclusivamente in acciaio per un vino che raggiunge i 13% alcolici. Prodotto d'accademia della cantina La Salute, in questa proposta è evidente l'intento dell'azienda di dare risalto alla qualità della materia prima. Una lavorazione che permette di far emergere le caratteristiche distintive del vitigno. Il colore è un giallo paglierino scarico con vivaci riflessi verdolini. Al naso i profumi di limone e cedro si arricchiscono con le note di foglia di pomodoro sostenuta da sensazioni balsamiche e vegetali. Una timida sensazione di mineralità emerge una volta ossigenato.
In bocca, come il vitigno richiede, le componenti dure sono prevalenti. Acidità e sapidità sono la colonna portante di questo vino che eccelle anche in retrolfattiva. Sentori vegetali e erbacei in prima linea, ma soprattutto una pulizia netta e decisa del palato con una folata acida che porta via ogni esperienza.
Pinot nero Trevenezie Igt Sileo 2021.
Valore alcolico pari a 13 gradi per un vino che è nato per esaltare le qualità del vitigno. Color rosa rubino che tende a scaricarsi sull'unghia. Evidenti le note di frutta rossa non ancora matura e violetta. I padroni di casa sono i sentori balsamici senza dubbio. In bocca resta sbilanciato verso la freschezza. Il tannino è ben lavorato, quasi impercettibile per un prodotto ancora molto giovane. La retrolfattiva regala di nuovo sentori balsamici e note di frutta rossa. I primi tendono a perdersi lasciando il posto ai secondi. Non è molto lunga come retrolfattiva ma è pulita e convincente. Anche in questo caso troviamo un prodotto che punta forte sul vitigno e che può migliorarsi nel corso dei mesi.
Conclusione
Abbiamo conosciuto un'azienda delle mille sfaccettature. Dove la struttura manageriale riesce a far convivere le tante anime e dove il cooperativismo crea fondamenta intaccabili e inossidabili. Cantina La Salute si propone sicuramente come una realtà che coniuga l'esperienza dei suoi fondatori con l'intraprendenza dei nuovi associati. Combinazione che si ritrova nei suoi vini. Il rispetto verso la natura della materia prima sposa le esigenze di mercato. Un colosso che ha fatto a spallate con i giganti un passo alla volta.
Non dimenticare di visitare il sito ufficiale della cantina per raccogliere restare aggiornato sulle lore attività.
Montepulciano diventa Cordisco. Il Masaf crea un sinonimo per il vitigno Montepulciano e scoppia la polemica su una decisione che può stravolgere l’utilizzo del nome di questo vitigno nel mondo. Questa decisione rischia di creare un effetto domino a scala vitigno-planetaria. Che sicuramente avranno preso in considerazione. Spero. Ma per chiarezza vediamo quali saranno gli scenari che potrebbero verificarsi con questa decisione, evidenziando aspetti che potrebbero essere sottovalutati.
Il Montepulciano diventa un Tokaji all’italiana. Chissà se i firmatari conoscono questa storiella di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze in Friuli, e con la quale siamo ancora incazzati per aver estirpato il nome di un vitigno storico che rappresentava un’intera regione. Il tocai è quello che oggi siamo costretti a chiamare friulano perché, secondo qualcuno, disorientava il consumatore verso il Tokaji ungherese, ottenuto dall’assemblaggio di uve Furmint, Hàrzevelu e Muscat lunelu, ed il cui nome sta ad indicare una precisa area geografica Ungherese. Una questione di nomi, per giunta scritti in modo diverso, e facendo riferimento a due situazione completamente diverse (un vitigno per una zona di produzione), ha costretto il nostro paese a rinunciare ad un carattere identitario nel mondo enologico.
Ed oggi, dopo aver criticato questa scelta in tutta la penisola, rischiamo di creare la stessa situazione in casa. Utilizzo il termine “rischiare” perche, per dovere di cronaca, al momento è tutto in divenire e l'idea che il termine Montepulciano possa essere utilizzato solo per i vini prodotti in Abruzzo non è ancora concreta. Quindi non contestiamo la nascita di un sinonimo, ma mettiamo in guardia su quello che potrebbe essere il suo utilizzo nel caso questa suddivisione territoriale sul nome diventi concreta.
Dicevo che il nome Montepulciano è planetario. Ebbene si. Ci sono coltivazioni di questi vitigni anche in Moldavia e in Australia. Solo per far capire la portata di questa coltivazione. Ci si aspetta che un divieto in Italia del nome sia esteso su scala globale. Perché se cosi non fosse diventerebbe un boomerang. Ovvero mentre il resto del mondo sfrutta la potenza commerciale del vitigno, le regioni italiane, esclusa una, perderebbero questa opportunità. In pratica si rischia di consegnare all’estero la quasi esclusività del brand. E’ chiaro quindi che, nel caso si decidesse di procedere in questa direzione, i nostri governanti dovranno trovare il modo di estenderla a livello globale. Come accaduto con il Tokaji. Auguri.
Altra criticità. Se l’esclusività del nome Montepulciano diventasse, e ho grossi dubbi, esclusività dell’Abruzzo, perché non fare la stessa cosa con il nebbiolo e il barbera in Piemonte? E perché non farlo con il sangiovese? O magari il vermentino. Già che ci siamo direi di farlo con tutti. Creiamo un sinonimo anche per il trebbiano, l’aglianico, la passerina, il pecorino, la falanghina e le altre centinaia di tipologie che abbiamo di uva da vino. Lasciando solo alle regioni di appartenenza l’uso esclusivo del nome.
Pensate come siamo fortunati. Per alcuni vitigni il sinonimo gia esiste. Ad esempio il nebbiolo possono chiamarlo spanna, chiavennasca, picotener. Il sangiovese possono chiamarlo Sangiogheto o sangioveto. Già immagino i discorsi del degustatore medio che accenderà discussioni su quale vitigno sia migliore tra i due senza sapere che si parla dello stesso. “Amico mio ho assaggiato un Sangiogheto che era la fine del mondo, molto meglio del sangioveto”. Insomma rischiamo veramente di comunicare male. Ma soprattutto di dover partecipare a discussione dal livello veramente imbarazzante. Perché non si può pretendere che tutti i degustatori facciano un corso di enografia prima di acquistare una bottiglia. E gia la situazione in Italia, con la varietà delle denominazioni, è difficile.
Senza parlare dei disciplinari. Chi li riscrive? Eh si perché se nel Barolo si può scrivere Nebbiolo e a Gattinara no, allora il disciplinare del Gattinara bisogna riscriverlo.
Quello che accadrebbe sicuramente nel caso in cui diventasse obbligatorio l’utilizzo del sinonimo di Cordisco nelle Marche, Lazio, Puglia, Molise, Umbria. E non solo lì, dato che lo stesso è utilizzato, anche se sporadicamente, in altre regioni.
Altra perplessità sul fatto che il Montepulciano diventa Cordisco al di fuori dell'Abruzzo risiede nella motivazioni. Ad oggi nessuno ha spiegato una progettualità o un fine ultimo sufficiente, a nostro avviso, per mettere in atto un cambiamento così radicale. Quali sono in vantaggi in termini sociali, culturali, enologici e soprattutto economici per la viticoltura italiana? Ne sapremo sicuramente di più in futuro.
Insomma direi che se gli piace inventare sinonimi e contrari giusto per stuzzicare la lingua, sono liberi di farlo. Ma evitiamo di creare una forzatura che andrebbe a vantaggio di pochi e a svantaggio di molti. Anche se da diverso tempo questa prassi sembri ormai consolidata. A parer nostro che il Montepulciano diventa Cordisco è un matrimonio che non sa da fare.
Scegliere l'evento giusto per la tua cantina. Partiamo da un presupposto senza il quale l’articolo non avrebbe motivo di esistere. E’ importante per una cantina, partecipare ad eventi enogastronomici. Le operazione di Marketing e promozione del prodotto devono includere la possibilità di incontrare il pubblico e coinvolgerlo in un confronto degustativo. E' necessario completare le proprie campagne di mercato incontrando i consumatori.
I cinque pilastri della partecipazione
Per brevità riassumo i punti per i quali una presenza alle manifestazioni deve essere sempre presa in considerazione:
1) Promuovete l’immagine dell’azienda in modo frontale con il consumatore
2) Far conoscere le nuove annate ad un pubblico vasto senza chiedere ai singoli di recarsi in cantina.
3) Possibilità di incontrare operatori del settore e stabilire legami economici.
4) Confrontarsi con altri produttori di aree diverse.
5) Avere un giudizio dei vostri prodotti su un pubblico variegato e non sui propri clienti, ovvero avere a disposizione un campione rappresentativo dell’intero universo del vino e non un campione distorto.
Senza dubbio in Italia abbiamo un’ offerta di eventi veramente abbondante. Ed è veramente difficile scegliere l'evento giusto per la tua cantina. Ci sono in ogni periodo dell’anno, in ogni angolo del paese, sotto qualsiasi forma. Si va dalle manifestazioni in cui si promuove la viticoltura locale fino al Vinitaly dove migliaia di aziende si presentano ai centinaia di migliaia di visitatori.
Ma esistono anche eventi dove il vino è comprimario o marginale rispetto al tema della manifestazione ma che permette comunque una visibilità in ambito sociale e culturale. Pensate ad esempio agli enoreading in cui viene presentato ai lettori un nuovo libro, spesso accompagnato da una degustazione.
Senza valutare la bontà o meno degli eventi, a noi interessa capire come partecipare in base agli obiettivi che si vogliono raggiungere.
La nostra osservazione nasce dall’esperienza fatta come visitatori ad innumerevoli eventi su tutta la penisola, scoprendo vantaggi e svantaggi in termini di promozione e opportunità.
Prediligere eventi in cui si ha rapporto con il pubblico
Spesso viene chiesto alle cantine di inviare campionature per partecipare ad una manifestazione. I loro vini saranno esposti al banco di assaggio e presentati dai sommelier. Per carità, è una buon occasione. Pensate al semplice fatto che i vostri vini possano essere assaggiati a centinaia di chilometri di distanza senza che la vostra presenza sia necessaria. Si evitano spese di spostamento, alloggio e vitto. Cosi come il tempo impiegato per raggiungere la fiera ed essere presenti. Sicuramente la vostra immagine ne trarrà giovamento ma nessuno dei 5 punti precedenti sarà soddisfatto.
Il sommelier difficilmente riuscirà a prendere accordi per conto vostro, anche perchè non è il suo lavoro. Così come non sarà in grado di fornirvi i feedback del pubblico, ma tutt’al più una sua opinione sull’andamento delle degustazioni. Così come non potrà confrontarsi con altri produttori per vostro conto. In sostanza, in presenza è meglio. E, quando potete, chiedete se è possibile avere un desk dove poter presentare la vostra cantina in autonomia. Scegliere l'evento giusto per la tua cantina significa anche scegliere di incontrare il degustatore.
Valutazione dell’affluenza per scegliere l'evento giusto per la tua cantina
La qualità della manifestazione non si giudica solo dal numero dei visitatori. Anche in questo caso potrebbe valere il motto, meglio pochi ma buoni. E’ meglio avere di fronte 100 appassionati di vino o 1000 visitatori che passavano di lì per caso e ne hanno approfittato per passare un paio d’ore in allegria?
Valutate quale è il vostro target. Se volete far conoscere il vostro vino a più persone possibili, allora la seconda opzione potrebbe fare al cosa vostro. Ma se volete confrontarvi con un pubblico esperto allora dovrete valutare gli eventi meno commerciali.
Dalle due tipologie di utenze avrete due riscontri diversi. Gli appassionati vi forniranno un feedback accurato sulla vostra cantina, e colpire la loro attenzione significa scalare la classifica di apprezzamento tecnico.
I visitatori comuni invece vi permetteranno di avvicinare un pubblico meno attento che al ristorante o all’enoteca acquisterà il vostro prodotto nel caso gli sia piaciuto. Quindi mentre nel primo caso si cerca l’approvazione per far crescere l’immagine e il brand aziendale, nel secondo caso si cercherà di aumentare gli acquirenti. Scegliere l'evento giusto per la tua cantina passa per forza di cose da questa valutazione.
Vicini e lontani
E’ scontato dirlo, ma essere presenti negli eventi organizzati nell’area di residenza della vostra cantina è indispensabile. Non potete pensare di conquistare territori lontani se in patria non siete considerati. Bisogna prima garantirsi l’approvazione territoriale per decidere di aggredire mercati extra regionali o esteri. Se nella vostra area di produzione non siete riconosciuti, difficilmente avrete successo altrove. Dovete far parlar di voi il pubblico che vi è più vicino.
Per quanto riguarda i territori lontani, ci sono diversi dettagli da valutare. Se partecipare alla prima classe di eventi vi impegnerà solo qualche campionatura di vino e un po' del vostro tempo a disposizione, la stessa cosa non si può dire di manifestazioni che si volgono a centinaia di chilometri da casa vostra. I costi aumentano. Ma è un situazione irrinunciabile se si vuole iniziare a vendere il proprio prodotto oltre i propri confini.
Iniziate a scegliere quelle location più facilmente raggiungibili per voi in termini di costi e tempo. E di queste valutate quelle che possono essere più vantaggiose per la vostra cantina.
Metropoli e piccoli comuni
Spesso questa valutazione viene fatta con troppa fretta e la conseguenza che si ricava si chiama delusione. E’ opinione condivisa che partecipare ad eventi nella capitale oppure a Milano o Firenze, in location prestigiose, sia vantaggioso rispetto agli eventi tenuti in piccoli comuni, spesso all’interno di vecchi palazzi storici o in uno spazio comunale opportunamente adibito.
La convinzione che la metropoli sia meglio nasce dal fatto che i migliori critici e giornalisti affidano a questi grandi comuni il successo dei propri eventi. E le cantine cercano di raccogliere il fascino che questi eventi hanno sul popolo del vino. Sono manifestazioni che, al di la degli effetti tangibili che generano sulla cantine, regalano lustro e prestigio ai partecipanti. Cosi come ci sono eventi organizzati da importanti associazioni cui partecipare è decisivo per restare sulla cresta dell’onda.
Attenzione però a non snobbare gli eventi proposti nei piccoli comuni, spesso lontani dai grandi centri abitati.
L’osservazione che faccio è sempre la stessa. Nelle metropoli la domanda di prodotti enologici è veramente ampia, ma allo stesso tempo anche l’offerta. E più aumenta la competizione per accaparrarsi gli acquirenti più il gioco si fa dispendioso e poco remunerativo.
Diverso il caso del piccolo comune dove si troveranno sicuramente meno persone, e la possibilità di allacciare rapporti duraturi non sarà facile. Ma allo stesso tempo avrete un rapporto più informale e diretto. La concorrenza non sarà dilagante e crearsi delle opportunità potrebbe essere più facile.
L’affitto del desk per scegliere l'evento giusto per la tua cantina
Altra nota importante per decidere se partecipare o meno è sicuramente il costo legato al desk.
Nel caso in cui la vostra scelta ricada nel partecipare in presenza, l’organizzazione dovrà affidarvi uno spazio.
Questo spazio può avere un costo. Utilizzo il condizionale perché a volte capita di trovare eventi cui il desk è gratuito.Intorno al prezzo, quindi, va fatta un’analisi.
Innanzitutto capire cosa viene offerto. Di solito il kit base è un tavolo adeguatamente apparecchiato con la disponibilità di una glacette. Insieme viene fornito il ghiaccio per l’intera durata della manifestazione e il personale per sbrigare tutte le pratiche di pulizia, movimentazione bottiglie e supporto. In alcuni casi viene messo a disposizione un magazzino dove stoccare i vini e lo staff si occuperà di rifornire le scorte ai tavoli.
Possono essere offerti anche altri servizi aggiuntivi, quali il reperimento del cibo per la pausa, oppure un alloggio. Quello che dovete chiedervi è se il costo sia proporzionato all’offerta.
L’organizzazione ha delle spese, inutile nasconderlo, e dovrà rientrare anche facendo leva sul sostegno delle cantine. Se pensate che la richiesta economica sia troppo elevata chiedete spiegazioni. Forse qualcosa vi è sfuggito nel valutare i costi.
Il potere attrattivo dell’evento come discriminante per scegliere l'evento giusto per lat tua cantina
Ipotizzando di aver scelto a quale tipo di evento partecipare, in base ai suggerimenti precedenti, ora si deve selezionare il singolo evento. E l’ago della bilancia è sicuramente l’attrazione.
Chiedetevi se è un evento già conosciuto. Se ha delle edizioni precedenti. Se il flusso negli anni è cresciuto. Cercate di capire che tipo di pubblico attrae. Insomma, guardate i numeri e la qualità degli stessi. Come detto precedentemente.
Ma come capirlo? Semplice. Chiedete agli organizzatori quanta affluenza hanno mediamente. Poi verificate se ci sono appuntamenti a tema. Ad esempio degustazioni guidate, mastersclass, convegni, talk show. Se ci sono significa che l’evento si rivolge anche a degustatori evoluti. Forse anche alla stampa, blogger, etc.
Altra verifica è la ricerca in internet della manifestazione. Vedere quante persone ne parlano. Forse trovate anche delle recensioni. Dagli articoli sui giornali online vi farete idee dell’affluenza e dell’affidabilità. Infine se riuscite a trovare foto allora avete fatto bingo. Quelle non mentono.
Investimento in marketing
Altro suggerimento, forse il più importante. L’evento cui parteciperete dovrà darvi visibilità. Ed oggi, non nascondiamolo, molto si riduce al web e ai social.
Primo step. Verificare la presenza di un sito web esclusivo dell’evento. E’ fondamentale. Tutti gli avventori sicuramente atterreranno sul sito per prendere informazioni. Se il sito non esiste, oppure è poco friendly, e per giunta anche non aggiornato sull’evento non è un buon segnale.
Secondo passo è verificare la presenza sui social web più in voga, facebook ed instagram su tutti.Valutare la qualità dei post, delle immagini , la frequenza di aggiornamento.
Infine valutare se le cantine partecipanti vengono richiamate, taggate e pubblicizzate.
Valutare se ci sono sponsorizzazioni su questo evento. Se la manifestazione è richiamata dai maggiori portali di eventi enogastronomici e sei i giornali online locali, dove si svolge la manifestazione, ne parlano.
Ultimo step, informarsi sulla presenza di stampa, blogger e influencer. Portarli al vostro stand e strappare una foto o una recensione sarà la ciliegina sulla torta. Forse riuscirete anche ad invitarli in cantina.
Se tutto ciò è presente e curato allora è possibile pensare che ci sarà affluenza e che la vostra azienda non passerà inosservata. E che, al di la di come andrà la manifestazione, il vostro nome girerà sui social e la vostra presenza sarà servita a qualcosa. Non abbaiate timore nel farvi fotografare allo stand. Non abbiate timore di metterci la faccia vicino al vostro vino. Pensate che è il vostro momento e siete andati lì proprio per farvi notare.
Conclusione
Avrei anche altro da aggiungere. Magari farò un articolo di approfondimento. Ma credo che già questi consigli siano utili sia per farvi capire quanto sia importante essere presenti a questi eventi, sia in che modo partecipare e come sceglierli. E se hai consigli su come scegliere l'evento giusto per la tua cantina, proponilo.
Pietro Cassina. L'Alto Piemonte tra Lessona e Bramaterra. Risalendo l’Italia del vino si giunge nei luoghi del Nebbiolo dove le Alpi creano un clima sui generis e dove il territorio si forgia dell’unicità esplosiva del super vulcano che milioni di anni fa ha scoperchiato il suolo fino a 25 km di profondità, da cui oggi affiorano strati di origine magmatica. L’Alto Piemonte, incastonato tra le provincie di Biella, Vercelli e Novara. In questo viaggio non potevamo farci che accompagnare da Pietro Cassina. Un viticoltore che ha saputo esprimere al meglio questa unicità, trasmettendo nei suoi vini l’esaltazione di un territorio che necessitava di una oculatezza e attenzione diversa rispetto alle altre aree regionali.
L’azienda vitivinicola si trova nel comune di Lessona, lungo la strada che porta alla frazione di Ratina Fiora.
Un anticipo
L’incontro con Pietro è stato un vero e proprio colpo di fortuna. Il carisma, l’amore per l’Alto Piemonte, la voglia di far conoscere il proprio territorio emerge ad ogni frase. Un viticoltore nuovo stile che mette al primo posto le sue radici. E si scoprono nuovi mondi. Nuovi progetti e nuove idee. Si inizia a parlare di vino e si finisce a parlare di sostenibilità, preservazione dei beni, tutela dell’acqua come bene prezioso, utilizzo del fotovoltaico in azienda, ricorso agli strumenti a km zero fino alla cantina gravitazionale. E alla fine dell’incontro ci domandiamo come sarebbe il settore vitivinicolo in Italia se ogni cantina adottasse una filosofia così a misura d’uomo.
Come sempre noi di Enoracolo preferiamo lasciare il racconto a chi il vino lo vive in prima persona, sicuri che le parole di Pietro Cassina arrivino meglio delle nostre.
L'Alto Piemonte di Pietro Cassina
E il racconto parte dal territorio, dal cuore. E perché quest’area è stata meno fortunata dei cugini delle Langhe e Roero. “Il Piemonte si è fermato per molto tempo. Ad inizio secolo scorso le intemperie e la Fillossera misero in ginocchio l’Alto Piemonte tanto da incrementare l’industria tessile che prese il sopravvento. Ci fu un secolo di quasi stasi nel produrre uve. Le persone si trasferirono nelle fabbriche lasciando in stato di abbandono i terreni, con conseguente avanzamento dei boschi. Negli ultimi ventanni c’è stato un rinascimento. Addirittura dall’estero sono arrivati investimenti per ricreare i vigneti. Di solito chi vuole il vigneto lo acquista già fatto, mentre nella nostra area devono essere costruiti da zero. I nostri terreni sono tutti frammentati e appartenenti a proprietari diversi, spesso difficilmente reperibili.”
Come tutto è iniziato , allo stesso modo finisce. Cosi anche le fortune del tessile.
“Possiamo dire che la crisi delle industrie tessili di ventanni fa, ci ha riportato alle origini. Così come posso testimoniare in prima persona.”
Questo ritorno in vigna non è stato per nulla indolore, anzi potremmo definirlo traumatico.
“Abbiamo dovuto ri-specializzarci in un settore quale quello vitivinicolo, e gli strumenti non li abbiamo sotto casa. Avevamo perso tutte le risorse per poterci dedicare alla cura dei vigneti e delle cantine”.
Un territorio unico
La storia degli ultimi 100 anni è stata sicuramente penalizzante per l’Alto Piemonte. Ma allargando la fascia temporale e tornando indietro di qualche era geologica, possiamo dire che la storia ha donato una risorsa unica a questi viticoltori, ovvero il terreno.
“C’è molta differenza tra i terreni dell’Alto Piemonte e del Basso Piemonte. Noi abbiamo terreni acidi, loro hanno terreni basici. Lessona in particolare ha uno dei terreni più acidi attestandosi ad un ph di 3.5, mentre la Langa ha circa il 6.8. La differenza la trovi nei vini. Possiamo vantare di avere terreni costituiti sul lavoro del super vulcano. Per fare degli esempi, la rosa biellese è considerata una delle rose migliori al mondo. Molto quotata. La rosa è una pianta acidofila, ha bisogno di terreni acidosi. Abbiamo una delle acque più leggera di Europa, con pochissimo residuo di sodio. Tutto ciò porta una grande differenza tra i vini delle Langhe e quelli dell’Alto Piemonte. E questo fa si che ogni importatore richieda la presenza di una cantina della nostra area.”
Un territorio così particolare e complesso dove è possibile trovare enormi differenze semplicemente spostandosi di pochi chilometri. “Abbiamo caratteristiche e comportamenti diversi tra la riva destra e la riva sinistra del Sesia. Da una parte c’è il Coste della Sesia , dall’altro il Colline Novaresi. Ma abbiamo due espressioni diverse. Nel caso in cui queste due DOC si dovessero fondere ci sarà sicuramente una differenziazione delle cantine. Non si acquisterà più un vino ma l’espressione di una cantina per quel vino.”
La forza di imporsi la qualità.
Il carattere dei vini dell’Alto Piemonte è dovuto anche all’impegno dei viticoltori che, riconoscendo l’autenticità del territorio e la complessità climatica, decidono di dotarsi di accorgimenti puntuali nella lavorazione in vigna e cantina. Pietro Cassina è uno dei più intransigenti. In particolare per quanto riguarda la produzione ad ettaro.
“ Mediamente si arriva a 60-70 quintali ad ettaro. Il disciplinare ci consente di arrivare fino a 100 quintali ad ettaro, ma sono veramente tanti, sono troppi. Io mi sono autoregolato con un disciplinare mio interno. Non supero mai i 40 quintali ad ettaro. Ho deciso di fare un diradamento a maggio – giugno. E’ un diradamento fatto con il cuore più che con la testa. Perchè ridurre la quantità di grappoli in Primavera significa non avere una ruota di scorta a Settembre. Ci sono aziende che il diradamento lo fanno a fine estate così da tutelarsi in caso di intemperie, ma chiaramente pagano in termini qualitativi. Chi dirada a Maggio - Giugno, ottiene delle uve sicuramente migliori ma si rischia di pagare cara tale scelta come accaduto nel 2020-2021 quando arrivò la grandine e fece disastri. ”
Il disciplinare di Pietro Cassina
Anche in cantina non si scherza, anche qui le regole che Pietro Cassina si è imposto sono ampiamente più restrittive rispetto a quelle del legislatore.
“Il Lessona per disciplinare impone 22 mesi complessivi di legno, acciaio e bottiglia prima che il vino possa essere messo sul mercato. Io mi sono imposto restrizioni più severe. Il mio vino solo di botte grande si affina tra i 3 anni e i 7 anni, oltre all'’affinamento in bottiglia. Il Nebbiolo è uno dei vitigni a bacca rossa più interessanti a livello mondiale. Il legislatore ha suggerito un affinamento minimo, una base sotto la quale non andare. Poi sta a noi capire se ciò è sufficiente”.
Il motivo per cui Pietro Cassina imposta elevati standard di qualità risiede nell’esigenza di dover convincere il degustatore alla prima occasione in cui assaggerà il suo Nebbiolo. Vietato sbagliare.
“Non tutti i nuovi degustatori danno una seconda possibilità. Quando offriamo un vino il degustatore si fa un’idea. E se rimane deluso probabilmente non acquisterà più il prodotto. Dobbiamo quindi essere sicuri che il nostro vino abbia raggiunto il massimo del suo splendore, e per farlo dobbiamo imporci regole che possono essere più ferree rispetto a quelle del Disciplinare dove abbiano come fine il raggiungimento di una migliore qualità.”
La longevità dell'Alto Piemonte
L’invecchiamento dei suoi vini e i lunghi anni di affinamento testimoniamo come il Nebbiolo in genere, ed in particolare quelle dell’Alto Piemonte, dia il meglio di se quando venga affinato per parecchio tempo.
“Abbiamo avuto la fortuna di assaggiare Nebbiolo dell’Alto Piemonte con decine di anni di invecchiamento. Con tappi che sono riusciti a mantenersi nel tempo. E abbiamo scoperto vini di grande longevità. Proprio grazie alle ultime innovazioni sui tappi potremo assaggiare vini con oltre 30 anni di invecchiamento. Ed il Nebbiolo si presta a questa impresa. Dovremo fare i conti con il fatto che il sughero sta scarseggiando e dobbiamo spostarci verso alternative anche più congeniali.”
Un passo in azienda Pietro Cassina
Chi pensa che sia tutto qui si sbaglia di grosso. Pietro Cassina ci fa entrare nella sua cantina e ci racconta come è strutturata in ogni minimo particolare. E scopriamo un’azienda giovane ed antesignana. Un’azienda che ha capito come determinate frontiere devono essere scavalcate e come il lavoro, la sostenibilità e l’etica sono diventate parte integrante di un progetto ben fatto.
“Siamo un’azienda di 7 ettari di proprietà. Cercheremo di arrivare a 10 nei prossimi anni, anche se c’è difficoltà nel reperire terreni. Per gran parte Nebbiolo, oltre a Vespolina ed Erbaluce. Cerchiamo di rispettare il più possibile l’ambiente. Come fertilizzante utilizziamo letame di cavallo, diradiamo molto, cerchiamo di mettere il minimo indispensabile di reti antigrandine. Sono brutte da guardare. Prediligiamo una vendemmia fatta a mano e con la cantina, vicinissima al vigneto, ci permette il trasferimento immediato delle uve per evitarne l’inizio del processo fermentativo . Abbiamo la fortuna di avere una forma del terreno del cascinale con un drenaggio naturale unico nella zona di Lessona. Il terreno è costituito da una sabbia Pliocenica acida”.
Come lavora in cantina Pietro Cassina
Pietro Cassina ha le sue idee, condivisibilissime, e non fa un passo indietro. “ Sono dell'idea che il vino si fa in vigna prima che in cantina. L’uva deve arrivare perfetta. Abbiamo una cantina costruita nel 2014 a gravità. Scomoda nell’utilizzarla perché costituita di più livelli ma ciò ha anche i suoi vantaggi. Per non stressare il vino passiamo ad ogni livello sottostante con pochissimo uso di pompe elettriche, ed in certi casi addirittura nulli. Utilizziamo vasche di acciaio a temperatura controllata per la vinificazione. La nostra fermentazione è spontanea. Cerchiamo di non filtrare il vino, travasandolo da una vasca all’altra e togliendo i sedimenti dal fondo. Quando riteniamo sia pulito lo facciamo defluire al terzo livello dove inizia il procedimento di affinamento in botti grandi di legno Austriaco e Svizzero (Stockinger) ”.
Un lavoro enorme. Un attenzione maniacale. Una cura verso ogni dettaglio del processo di lavorazione. Uno studio meticoloso che arriva fino alla corretta scelta delle botti per l’affinamento. Un scelta che andava controcorrente. Tanto da suscitare l’incredulità dei colleghi. A differenza della quasi totalità delle cantine del Piemonte, Pietro Cassina decide di affidare il suo vino a botti grandi di legno Austriaco e Svizzero.
Pionieristico per la zona di Lessona l'affinamento in botti di legno Austriaco e Svizzero
“Chi fa questo lavoro deve avere un po' di pazzia e osare. A distanza di tempo lo dico con fierezza. Quando iniziai a sperimentare questi Roveri c’era scetticismo intorno a me. Anche coloro che mi vendettero le botti furono onesti, non sapevano come si sarebbero comportate con il Nebbiolo della mia zona. Feci da cavia. Oggi posso dire che l’esperimento ha portato i suoi frutti. Guardano i miei vini con curiosità, e da qualche bisbiglio, pare che qualche collega abbia iniziato a chiedere preventivi per tali Roveri...”
Il motivo di questa scelta dei legni è presto svelato.
“Il Nebbiolo non ha la necessità di legni che infondano un terziaro di vaniglia. Un Nebbiolo non dovrebbe avere questa necessità. Il legno è importante perché abbiamo bisogno di macro ossigenazione. I Roveri Austriaci e Svizzeri riescono in questo intento ma essendo neutrali non rilasciano invadenze olfattive permettendo comunque l’evoluzione del vino. ”
Insomma, i vini di Pietro Cassina sono una sommatoria di scelte e lavorazioni che l’azienda ha costruito e implementato negli anni. Fin dai primi tempi, quando davanti ai suoi occhi c’erano dei vecchi filari quasi in stato di abbandono.
La nascita della cantina Pietro Cassina
“Ho costruito la cantina da zero. E ho dovuto reimpiantare i vigneti, estirpando quelli esistenti di oltre 70 -80 anni di vita perché la larghezza dei filari era quella che permetteva solo al bue o al cavallo di passare per fare le varie lavorazioni . Ricordo che dopo aver estirpato le vecchie vigne per 5 anni abbiamo usato la tecnica del sovescio con la Soia per migliorare la struttura del terreno. Abbiamo fertilizzato con letame, preparato il terreno e poi di lotto in lotto abbiamo impianto i vitigni con allevamento a guyot e densità di circa 5.000 piante ad ettaro”.
I risultati non tardano ad arrivare. Cosi come le soddisfazioni. Soddisfazioni che provengono soprattutto dai mercati extra nazionali.
“Purtroppo è necessario rivolgersi all’estero. C’è molta uva in Italia e dobbiamo vendere al di fuori dei nostri confini. Si beve meno ma di qualità più alta rispetto al passato. Possiamo dire che due terzi del nostro prodotto viene esportato all’estero. Ci attestiamo sulle 30 mila bottiglie annue. Fortunatamente negli ultimi anni il territorio ci sta premiando. Nelle carte dei vini si possono trovare molti prodotti dell’Alto Piemonte, addirittura con liste dei vini dedicate ai vini del territorio. ”
Tasto dolente e progetti di Pietro Cassina
Fin dall’inizio sapevamo quale fosse il tasto dolente di Pietro Cassina “Amo la mia terra, ma noi non sappiamo comunicare. Dobbiamo lavorarci molto. Ho sempre detto che siamo i migliori al mondo nel non comunicare il proprio territorio, E non mi rivolgo solo al vino, ma anche alla cultura, alle tradizioni, all’arte, a tutto ciò che è Alto Piemonte”.
Ci sono progetti futuri. Idee che sposano sempre il connubio qualità – sostenibilità, ma con un’attenzione particolare all’etica.
“Mi piacerebbe dar lavoro a tante persone. Magari avere delle figure cui demandare delle funzioni specifiche. Per farlo dovrei aumentare la superficie. Ma non amo diventare una grossa cantina. Perchè perderei la poesia per dedicarmi alla sua conduzione. Il sarto e il falegname fanno dei pezzi unici. Così deve essere il viticoltore. L’Italia è sempre stata basata su tante piccole produzioni, e spero continui su tale strada. Dobbiamo permettere a queste piccole aziende di lavorare.”
La degustazione
Erbaluce Metodo classico Pietro Cassina.
Un vitigno che si presta a molte lavorazioni. Di questo ne siamo assolutamente convinti. E il metodo classico non fa eccezione. L’azienda opta per una permanenza sui lieviti selezionati da un minimo di 24 mesi ad un massimo di 48 mesi. Il colore è giallo paglierino chiaro. Bollicine di grande finezza. Delicate. Al naso promette fiori bianchi, pesca, mela verde, sensazioni agrumate. Note evidenti di pane sfornato. In bocca la bollicina è gradevole, delicata. L’acidità attacca immediatamente il palato lasciando poi spazio ad una piacevole sapidità. Il retrogusto riporta note di frutta e note cremose. La persistenza non è propriamente lunga. L’effetto della freschezza tende a smaltire le fatiche del palato e prepara la bocca ad un nuovo sorso.
Severina.
Coste della Sesia Nebbiolo Doc. Un vino per conoscere il Nebbiolo nella sua integrità senza intermediari. Fermentazione spontanea con macerazione di 7-10 giorni sulle fecce con frequenti rimontaggi e follature. Affinamento in vasche d’acciaio per 12 mesi. Più ulteriore affinamento in bottiglia prima dell'immissione sul mercato. Visivamente appare un colore rubino intenso, leggermente chiaro sul bordo. Al naso vincono i sentori vegetali e balsamici. Peperone in modo particolare. Importante presenza di violetta. Note sparse di frutti di bosco, ciliegia. Si percepiscono note delicate di pepe. In bocca la gioventù è ancora padrona. Un vino che fa del carattere una nota predominante. Acidità e sapidità sono in prima linea. Il retrogusto è deciso. Note di ciliegia e frutti di bosco misti a fiori sono discretamente lunghe. Un gioco di gusti e sapori che non risulta invadente.
Cai Daj Tass.
Coste della Sesia Rosso. Ottenuto da uve Nebbiolo 100%. Stesso processo di vinificazione del Severina. Cambia l’affinamento. Il vino viene lasciato a maturare in botte ovali di 15-25 HL per poi passare in barrique per 12 mesi. Successivamente altri 12 mesi in bottiglia. Il colore ha sempre un cuore rosso rubino accesso. I riflessi iniziano a perdere l’accento rosso. I sentori, nonostante la barrique, gravitano intorno alla marasca, prugna, violetta, cardamomo e pepe. Non si percepiscono note terziarie diverse dalla speziatura. In bocca risulta molto più equilibrato rispetto al Severina. Soprattutto il tannino appare fin da subito meno irruento. La retrolfattiva è franca. Pulita. Quello che ha promesso mantiene. Piace il fatto di non restare troppo a lungo in fin di bocca. E che richiede una bevuta ma con moderazione.
Ciuèt.
Coste della Sesia Nebbiolo DOC. Stesso processo di vinificazione del Severina e de Cai Daj Tass. Il vino viene lasciato a maturare in botte ovali di 15 HL per ben 21 mesi. Sentiamo un piccolo cambio di marcia rispetto ai precedenti. Il colore rimane su toni rosso rubino con un unghia lievemente granata. Al naso propone frutti rossi, rosa, violetta, peperone e un pizzico di balsamicità misto a pepe. Ma la differenza rispetto ai primi due è la gustativa. Si nota subito un vino più equilibrato. Un Nebbiolo che ha acquisito morbidezza nonostante le componenti dure siano ancora leggermente prevalenti. Il ritorno post gustativo è piacevolmente costituito da pepe e balsamicità. Ha una persistenza media che chiama la bevuta .
Pidrin.
Lessona Doc. Anche qui troviamo un Nebbiolo 100%. Fermentazione spontanea con macerazione sulle bucce per 7-10 giorni ad una temperatura massima controllata sotto i 28° celsius, ripetendo circa due volte al giorno follature e rimontaggi. Affinamento in botti da 15 HL per 15 mesi. Colore rosso rubino non molto intenso con riflessi ancora più delicati. Naso importante. Sentori vegetali e balsamici che fanno da padrone. Poi ciliegia, fragolina di bosco, mora selvatica, ribes. I fiori ruotano intorno alla violetta e alla rosa canina. In questo vino inizia ad emergere una lieve nota minerale. In bocca spicca per eleganza. La degustazione è piacevole e delicata. Nessuna declinazione nella post gustativa. Vino Franco e Schietto cui necessita di equilibrarsi ulteriormente.
Tanzo.
Lessona Doc. Ci siamo. Arriva il vino che ti aspetti. Un prodotto che ricorda come l’Alto Piemonte è fatto di straordinarietà. L’annata 2012 è l’ideale per scoprire un Nebbiolo di Lessona nel suo momento di maturazione. Affinato in botte di rovere Austriaco-Svizzero per 26-27 mesi. Rosso rubino con riflessi granati. Naso pulito, nitido. Violetta, peperone e ciliegia sono il trio di sentori più eclatanti. Bellissima balsamicità con note delicate di finocchio selvatico ed eucalipto. L’impatto della botte si limita ad un accenno di tostatura quasi impercettibile. Tutto ciò permette un delicato quanto affascinante profumo di mineralità.
In bocca il tannino è gradevole. Smorza i toni dell’acidità. Sale un po' la sapidità, ma di pari passo avanza la morbidezza. É un vino che ha raggiunto un giusto equilibrio delle sue componenti con ancora qualche margine di miglioramento. La retrolfattiva è importante. Ritorni di frutta secca e balsamicità. Scompare la componente terziaria lasciando spazio a primari e secondari. Posta gustativa mediamente lunga. Non richiede la bevuta compulsiva.
Tera Russa.
Coste della Sesia Vespolina DOC. Cambiamo registro e passiamo ad una Vespolina 100%. Fermentazione spontanea con macerazione sulle bucce per 7-10 giorni ad una temperatura massima controllata sotto i 28° celsius, ripetendo circa due volte al giorno follature e rimontaggi. Affinamento in botti da 15 HL per 15 mesi. Colore rosso rubino scarico. Bouquet aromatico vario, dalla ciliegia alla mora passando alla fragola. Rosa canina e ciclamino. Terziario più importante, con note di tostatura ben evidenti. In bocca la morbidezza è padrona di casa. Il tannino è ben levigato e l’acidità è un buon comprimario. La persistenza non è lunga e si ha una percezione dell’alcolicità maggiore rispetto ai vini precedenti, nonostante il grado alcolico dichiarato è di 13%.
Leo.
Bramaterra Doc 2106. Ultimo vino in degustazione. Da Lessona ci spostiamo a Bramaterra. Costituito da Nebbiolo 80%, Vespolina 10%, Croatina 5%, Uva rara 5%. Affinamento in legno per 5 anni. Rosso rubino con unghia leggermente granata. Violetta e frutti rossi sono immancabili. Così come una componente vegetale a base peperone che sembra un marchio di fabbrica. Bellissima mineralità che fa da cornice al corredo aromatico. In bocca si sente che ha ancora molti anni davanti. Il tannino è ancora leggermente evidente. L’acidità ben presente, così come la sapidità. La retrolfattiva è lunga. Ritorni vegetali e balsamici. Inizia ad equilibrarsi ma è ancora presto. Un vino da aspettare perché promette veramente bene. Un vino per chi ha la pazienza di aspettare i grandi vini.
Conclusione
Un saluto che è un arrivederci. Vogliamo riassumere Pietro Cassina in una frase che egli stesso pronuncia con orgoglio. E che rispecchia il suo lavoro, l'amore per un vitigno, e la convinzione che l'Alto Piemonte possa ancora crescere molto. Ci congeda con quello che è diventato il suo motto .“Anche se me l’hanno copiata in tanti, io dico sempre che NON FACCIO VINO: FACCIO NEBBIOLO!”. E se vuoi restare in contatto con questa splendida azienda corri sul loro sito ufficiale.
BeFirstSocial. Engagement per cantine e wine influencer. Quante volte, di fronte alla tua pagina instagram, ti sei demoralizzato a causa delle scarse interazioni. Spesso ti avranno tirato le orecchie per lo scarso successo che ha la tua cantina nel canale social più seguito del momento. E sai bene come sia importante far crescere il proprio profilo per generare un traffico costante per promuovere i tuoi vini.
Problema condiviso da tanti wine influencer. Si investe tempo e denaro. Impegno e fantasia. Ma i risultati, nella migliore delle ipotesi , tardano ad arrivare. Mentre i tuoi competitors generano flussi di interazione tu rimani stagnante.
Non sentirti in colpa. Non sei l’unico a doversi scontrare con la dura realtà. Se conosci la piattaforma instagram sai bene che per salire la china ci vuole tempo e pazienza. A meno di non aver un' importante fondo cassa da investire in promozioni.
Ebbene da qualche anno è arrivato in soccorso BeFirstSocial. Ultimamente questo strumento sta avendo un discreto successo e chi lo utilizza ottiene risultati insperati. Ma prima di entrare nel dettaglio dell’app dobbiamo chiarire quelli che sono i concetti che la sostengono e come funziona il mondo instagram.
Partiamo da Instagram. I pilastri.
Il social network in questione è molto semplice da usare. Basta creare un profilo e iniziare a pubblicare i propri scatti con filtri, testo, e hashtag. E se non ti basta potrai creare anche delle stories ricche di testo animato, musiche ed effetti.
Una volta data in pasto ad instagram la tua creazione verrà sparata nella rete e altri utenti come te potranno mettere una like o un commento.
Se il tuo profilo piace gli altri iscritti metteranno il segui per essere aggiornati sulle tue pubblicazioni.
Chiaro quindi quali siano i pilastri per ottenere successo su questa piattaforma.
Bisogna avere molti seguaci
Quanti? Molto dipende da cosa si propone, più il settore è di nicchia più è difficile generare grandi numeri. E quindi qualche migliaio di followers potrebbe essere un bel numero. Se, ad esempio, fossi un appassionato di lombrichi con un profilo per promuovere la tua attività, beh difficilmente riuscirai a fare grandi numeri. Ma se quelli che hai sono doppi, se non tripli , rispetto ai tuoi competitors, allora puoi dire di avere una reputazione interessante ed esserne fiero. Far crescere la propria reputazione sui social genera una crescita di reputazione anche nel mondo reale.
Chiaramente se il tuo settore è l’abbigliamento la situazione si fa diversa. Il campo è iper inflazionato e se non raggiungi qualche milione di followers sei un fallito.
Bisogna generare interazioni
Pubblicare una foto che vedono un milione di individui e nessuno di loro mette una like o un commento non è positivo. Anzi avere troppi followers che non interagiscono con te è addirittura deleterio. Ma ne parleremo inseguito. Per ora ti basti sapere che se nessuno si preoccuperà di mettere un mi piace o una semplice emoticon il tutto si traduce banalmente nel fatto che ciò che pubblichi non interessa.
Bisogna aumentare l’engagement
E adesso cosa è questa parola? Tienila a mente. Memorizzala e se vuoi crescere allora devi farne un mantra. L’engagement è esattamente il rapporto tra i tuoi followers e le interazioni che hanno con i tuoi post. Ovvero la percentuale di like e commenti sul numero di seguaci. Facendo un esempio banale, se hai 1000 followers e una media like di 10 unità a foto e 5 unità a commento avrai una percentuale di engagement sicuramente inferiore a chi ha 100 followers con una media di 9 like e 4 commenti a post. Quindi nonostante hai più followers e interazioni avresti un engagement inferiore. Questo perchè, come si dice, meglio pochi ma buoni. Ma allora non è vera la storia che bisogna avere molti followers? Certo che è vera. Ma questi followers devono essere reali e reattivi.
Attenzione, i like non devono provenire per forza dai tuoi seguaci. Ma possono essere messi anche da chi, seguendo un hashtag, vede il tuo post e aggiunge il mi piace. Quindi, in ultima battuta, i tuoi 1000 followers silenti nei tuoi confronti potrebbe essere compensati da 1000 like dati da sconosciuti. Per instagram non fa differenza. O quasi.
L'algoritmo
Adesso che abbiamo spiegato i pilastri di instagram, cerchiamo di capire perché , nonostante i tuoi sforzi, non raggiungi risultati. Il problema è nascosto nell’algoritmo che ne gestisce i contenuti. Ad oggi ha questo funzionamento, ma il social network ama adeguarlo ai cambiamenti per evitare un uso non corretto.
Molti sono convinti che pubblicando una foto, la stessa sarà vista da tutti i seguaci e da tutti coloro che seguono gli hashtag. Niente di più falso. Instagram non sarebbe in grado di farlo, perché nessun utente potrebbe visualizzare l’enorme foto di post che pubblicano i profili e gli hashtag seguiti. Instagram cerca di proporre quelli che sono più interessanti. Come? Semplice, associando dei punteggi ad ogni post. E qui entra in gioco l’engagement.
Più un post genera interazione più viene riconosciuto interessante dal sociale network, il quale appunto associa un punteggio.
Inoltre più un utente interagisce con te frequentemente più in futuro avrà modo di vedere i tuoi contenuti.
Instagram effettua continuamente dei calcoli e li rimodula nel tempo. Per esempio ipotizziamo di pubblicare un post. Instagram deciderà di farlo vedere solo ad una parte dei nostri followers e dei profili che hanno interagito con noi ultimamente. Se queste visualizzazioni non portano interazione il nostro punteggio non sale e scendiamo nella scala di interesse. Così che instagram mostrerà sempre meno quel post in favore di altri contenuti più interessanti.
La radice del fallimento prima di BeFirstSocial
Ora è chiaro perché i tuoi competitors vincono facilmente? Perché hanno una comunità che interagisce con loro e investono soldi per ottenere interazioni. Scalando così la classifica tanto da essere reputati degni di essere visualizzati dalla piattaforma.
Adesso ti chiederai come fanno i tuoi competitors a generare engagement. Sicuramente investono bene il loro tempo. Ovvero creano con altri profili un rapporto di dare e avere. Mettendo delle interazioni ai post degli altri profili i proprietari degli stessi si sentono in dovere di ricambiare, così da creare un continuo flusso di like e commenti. Le grandi aziende investono soldi per farlo, affidandosi a società di marketing che sanno trovare il post giusto e lo sponsorizzano così da avere reazioni da parte della comunità.
Calma. C'è BeFirstSocial.
Starete gettando al spugna. Ed è qui che interviene BeFirstSocial. Vi diciamo subito: non si tratta di comprare followers e like. Niente di più falso. La compravendita non paga. In passato si compravano seguaci. Salvo poi scoprire che il 99% erano profili falsi. Poi si è passato a comprare like, stesso discorso. Troppo oneroso e troppo legato al momento.
BeFirstSocial invece genera una comunità di profili che vogliono crescere. Profili reali. Li mette in contatto e stabilisce le regole per consentire uno scambio serio e costante di like e commenti.
Vediamo come funziona BeFirstSocial.
Basta semplicemente registrarsi e associare il proprio profilo instagram all’app. Da questo momento BeFirstSocial ti inoltrerà i post dei profili che ,come te, chiedono una interazione. Dovrai semplicemente scorrere i post e lasciare un commento o una like. Oppure entrambi. L’applicativo, mostrerà un post alla volta e potrai saltare solo tre foto. Solo tre foto, che veramente non ti piacciono o non fanno parte del tuo interesse, le potrai scartare senza lasciare interazione. Fatta questa attività il programma ti assegnerà dei punti, che si tradurranno in like e commenti che qualcuno dovrà ricambiare. E così un altro profilo, tra i propri round ( così si chiamo i post in esame) troverà anche il vostro e dovrà reagire.
Come vedete questa attività richiede la presenza dell’utente, il quale dovrà utilizzare un browser internet come chrome, registrarsi, ed infine scorrere i post e mettere una reazione. Ciò è prova che i profili devono essere veri. Reali.
Difatti non è possibile farlo con i Bot. Se non sai cosa sono i Bot allora te lo riassumo in poche parole. Dei programmi che girano in background ( in automatico per intenderci) e mettono like e commenti al tuo posto mentre te ne state seduto in poltrona a fare altro. Instagram sta facendo una guerra senza confine a questi programmi. Riesce a limitarli e smascherarli. E comunque oggi non funzionano più. Bene BefirstSocial non permette l'utilizzo dei bot perchè i suoi servizi non sono esposti (qui si apre un altro mondo ma dovrei farti una lezione di informatica e non è il caso. Fidati).
Potresti fare questa attività senza l’aiuto di BeFirstSocial? Teoricamente si. Basterebbe cercare profili come te che sono interessati ad uno scambio. Ma Come pensi di farlo? La maggior parte degli utenti instagram è iscritta per il piacere di pubblicare e vedere post. Non gli interessa assolutamente fare business. E quando troverai qualcuno c’è sempre il rischio che dopo l’entusiasmo iniziale si perda la collaborazione. Su BeFirstSocial non dovrai preoccuparti. Il motore che lo sostiene ti garantirà che i tuoi post saranno visualizzati da un pubblico che certamente interagirà con te, e lo farà fino a quando non avrai ottenuto i like e commenti per pareggiare i punti che hai accumulato.
L’unica cosa che ti si chiede è che se vuoi una interazione dall’appassionato di lombrichi, che forse è anche astemio, allora dovrai fare la stessa cosa con i suoi post. Anche se non sei un appassionato degli anellidi. Ma potrebbe essere un modo per scoprire cose nuove e interessanti.
Se ti sei convintio ad entrare in questa comunità puyoi farlo semplicemente registrandoti sulla piattaforma BeFirstSocial.
Il nostro percorso di scoperta di nuove piccole grandi realtà fa tappa a Russi, in provincia di Ravenna. Qui troviamo Tenuta Uccellina, porta bandiera di una viticoltura incentrata sulla valorizzazione dell’autoctono locale. Scopriamo questa cantina accompagnati da Hermes Rusticali, titolare dell’azienda. La vita lo ha portato dai campi di calcio ai campi d’uva affiancando i genitori in questa impresa.
Non lo ha fatto certo in punta di piedi. E’ entrato a gamba tesa come un difensore vecchia maniera stile Giorgio Chiellini o se preferite Paolo Montero. Dopo aver attaccato gli scarpini al chiodo decide di difendere il progetto familiare ed espanderlo in cerca di trofei e lo fa partendo da una laurea in enologia che gli permette di fornire valore aggiunto non indifferente ad una realtà che già navigava con disinvoltura. “A 21 anni capiì che da lì a 7-8 anni non mi sarei visto calciatore. Decisi quindi di riprendere i miei studi e sostenere l’attività di famiglia”.
Tenuta Uccellina a cavallo dei due secoli
Oggi, a 28 anni, Hermes è un testimone importante del cambiamento aziendale. Una storia, quella di Tenuta Uccellina, lunga diverse generazioni ma che si reinventa ventanni fa. Quando il padre Alberto era un punto di riferimento per tutta l’area costiera in tema vino. Riforniva molti locali sul mare e la sua gamma girava esclusivamente su Sangiovese, Albana e qualche vitigno internazionale come il Pinot Nero.
“Dopo la crisi di fine anni novanta, mio padre capiì che la fisionomia doveva cambiare. Si doveva puntare di più sulla qualità proponendo etichette che rispecchiassero il territorio. Iniziò cosi l’avvicinamento al Longanesi e il famoso”. La crisi di fine secolo non era certo l’unico ostacolo ai vignaioli romagnoli. “Purtroppo per anni in Emilia Romagna si è pensato a fare vini massali. Che costassero poco e che fosse facilmente bevibili. Questa etichetta ce la portiamo ancora e non è facile farsi riconoscere a livello nazionale”.
Tenuta Uccellina cantina
Tenuta Uccellina si poggia su tre zone. Terreni in zona Russi, dove risiede la cantina, una piccola parte in località Brisighella, zona collinare, ed un ulteriore terreno a Bagnacavallo. Per un totale di 4,5 ettari.
In questi ultimi 20 anni due tappe hanno segnato il cammino di Tenuta Uccellina, ovvero la nascita del consorzio di Bagnacavallo nel 1998 e la ristrutturazione della cantina nel 2014.
Per approfondire la conoscenza del consorzio leggi il nostro articolo sul longanesi. In questa associazione la famiglia Rusticali è entrata fin dalle prime ore di vita, ed oggi, insieme ad altre pochissime realtà, è una delle più accanite sostenitrici. “Siamo entrati a far parte di questo progetto fin dalla sua nascita. Insieme ad altri produttori locali. E pensiamo che il consorzio sia un valido strumento per far conoscere il vitigno Longanesi in tutta Italia. E magari al di fuori dei nostri confini. Negli anni questa associazione ha portato ottimi risultati, ma possiamo ancora crescere.”
Fiducia incondizionata a Longanesi
E sul longanesi, che potete scoprire leggendo il nostro articolo, Tenuta Uccellina ha investito molto delle sue risorse e speranze. “La caratteristica più unica che rara del longanesi è quella di essere un vino rosso che si esprime molto bene in pianura. E nella nostra area di pianura ne abbiamo molta e avevamo bisogno proprio di un vitigno di questo tipo. Io ne sono particolarmente orgoglioso. E' impensabile trovare un vino di questa potenza e di questo spessore, in una zona completamente pianeggiante. Storicamente questa zona era adibita a produzioni vitivinicole destinate al consumo di massa. Questa varietà, lavorata in una certa maniera, ci ha stravolto tutto. Per fortuna nel 1998 c'è stata una rivalutazione del Longanesi, e mio padre ha subito abbracciato la volontà di ottenere qualcosa di importante da questa uva”.
Un vitigno che richiede un lavoro particolare. La sua forza, il carattere devono essere addomesticati. Solo così se ne evidenzia il potenziale. Hermes Rusticali si ricorda che per arrivare a questo equilibrio sono state necessarie prove, errori, sconfitte ed infine il successo. “Inizialmente si lavorava un pò come una normale uva rossa. La varietà in questione ha però un apporto tannico veramente elevato. Per certi versi esuberante. Ricordo i primi anni ottenevamo dei vini che erano molto sgarbati. Era necessario trovare la giusta via per equilibrarlo. Inizialmente si era pensato all'utilizzo della barrique per addomesticarlo, ma dopo pochi anni siamo passati alla botte grande. Ma sicuramente ciò che ci ha aiutato di più è stata la tecnica dell'appassimento.”
Anni di lavoro e sperimentazioni che i viticoltori hanno portato avanti in simbiosi con il consorzio , come ci tiene a sottolineare il giovane enologo di Tenuta Uccellina “Il consorzio si è dotato di un disciplinare proprio che ci obbliga ad appassire almeno il 50% delle uve destinate al Burson etichetta nera. In aggiunta richiede un affinamento in legno di altri due anni. Ma noi di Tenuta uccellina per li Burson facciamo un appassimento del 100% dell'uva per un periodo che va dai 40 ai 50 giorni. E lasciamo il vino in botte grande di legno per 48 mesi.
Da alcuni anni ci siamo dotati di un magazzino a temperature e umidità controllata, con strumenti di ultima generazione per eseguire queste operazioni.”
Burson Tenuta Uccellina
Il Burson di Tenuta Uccellina
Il risultato è vino straordinario nella sua unicità “Otteniamo un vino che mantiene comunque una bella acidità, molto secco ma soprattutto ha un lunga longevità. Abbiamo assaggiato poco tempo fa una bottiglia dell'annata 2005 ed era in splendida forma.”
Per soddisfare i nasi e i palati di degustatori che chiedono meno complessità e più bevibilità, il consorzio ha pensato, negli anni, di lavorare su una versione del Burson più pronta nel breve periodo. E che esaltasse il frutto limitandone l’impatto ostico in giovane età. Facciamo riferimento al Burson etichetta Blu. “Per il Burson etichetta blu facciamo una lavorazione che ci consente di ottenere più rapidamente un vino sicuramente meno impegnativo ma gradevole alla bevuta. In pratica facciamo una macerazione prefermentativa a freddo.
Dopo la raccolta mettiamo subito l'uva in vasca, abbattiamo la temperatura, lasciamo macerare con le bucce per tre giorni, dopodichè sviniamo. In questo modo non parte la vinificazione, è ancora mosto, e manteniamo le caratteristiche olfattive del vitigno ma senza presenza tannica. Da questa lavorazione otteniamo un 2/3 del vino che va in bottiglia. L'altro terzo lo otteniamo da una vinificazione normale. Questa combinazione permette di aggiungere al vino finale solo un terzo della carica tannica totale dell'intera uva.”.
Potete immaginare quanto sia forte la carica di questo vitigno, dato che solo un terzo dello stesso riesce a trasmettere le sue caratteristiche organolettiche.
Sempre al fianco del consorzio
Hermes chiarisce quali sono le speranze nel Longanesi per il consorzio “L'etichetta nera è stato pensato per diventare un grande vino. Il Burson Blu è nato qualche anno dopo, con l'intento di avere un vino per una bevuta più facile mantenendo vive le caratteristiche piacevoli del vitigno.”
Di fatto questa associazione, di pochissimi produttori, riveste un ruolo centrale nella zona. Cuce e ricama le diverse anime che comunque hanno lo stesso intento. Investire su un’uva che potrebbe portare unicità e ricercatezza in un’area in cui il mercato del vino di qualità non ha mai riconosciuto il lavoro dei vignaioli. “Il consorzio è composto da circa 12 produttori, ma solo 5 sono le cantine che sono posizionate sui mercati. Ad oggi è possibile immettere sugli stessi mercati circa 50 – 60 mila bottiglie a base longanesi. Noi di tenuta Uccellina ne produciamo 6600 di Burson etichetta nera e 4000 di etichetta blu”.
Mission Aziendale? Autoctono romagnolo
Ma Tenuta Uccellina non è solo Burson. La sua offerta ruota intorno ad altri vitigni che, come anticipato, hanno un profilo identitario fortemente territoriale e autoctono. Oltre al Longanesi, in catalogo c’è anche il Famoso, gli immancabili Albana e Sangiovese e , udite udite, il Cavecia. Mentre i primi due e l’ultimo trovano dimora nei vigneti di Russi, l’Albana e il sangiovese vengono coltivati nei terreni di Brisighella. Questa produzione porta in totale circa 30.000 targate Tenuta Uccellina.
Anche il Famoso ha come marchio la ristrettezza della produzione. Un vitigno antico che è stato soppiantato nel corso degli anni dalla concorrenza di uve che fossero più produttive, più facili da coltivare e più attraenti per il commercio di massa. E’ Conosciuto in romagna anche con il nome di Rambèla e la sua storia risale alla metà del XV scecolo, come riportato da documento Tabella del Dazio Comunale di Lugo del 1437: “Rambëla, uva da tavola venduta anticamente fresca sulle piazze”.
Hermes Rusticali non nasconde il suo entusiasmo verso questo prodotto .“Dal famoso stiamo ottenendo grandi soddisfazioni. E' un'uva che non ha un grande spessore, in compenso ha una media struttura, povera, una buona acidità è un nota aromatica che la contraddistingue. Otteniamo un vino fresco, aromatico e piacevole. Si era pensato ad elevarne la struttura e il corpo con delle lavorazioni specifiche. Ma sono dell'idea che invece è necessario rispettare la natura di quest'uva. Senza per forza ottenere qualcosa di più pieno in degustazione. Lo vinifichiamo in purezza perchè siamo convinti della sua capacità.
Sul famoso facciamo tre raccolte. la prima anticipata, con al quale facciamo il vino spumante. La seconda , quella più cospicua, viene fatta a maturazione. La terza , piccolissima raccolta, in leggera sovramaturazione.
Ci siamo accorti che il Famoso ha un cambiamento olfattivo incredibile in base ai tempi di raccolta. Si parte da componenti floreali, per passare alla frutta ed infine giungere alle note esotiche. in questo modo abbiamo preso tutta la componente aromatica che mette a disposizione il vitigno. Nel Rambelà andiamo a combinare queste tre raccolte.”
Altra perla rara proposta da Tenuta Uccellina è la produzione dell’uva Cavecia. "Un vitigno antichissimo che veniva usato dai contadini per il vino destinato al consumo casalingo. Al momento non è registrato neanche al catalogo varietale nazionale anche se stanno iniziando gli iter di osservazione per il riconoscimento. Come per il Famoso , gli veniva preferito il Trebbiano. Noi facciamo una semplice lavorazione da uve bianche con diraspamento e pressatura soffice, vinificazione statica a freddo del mosto e fermentazione a temperatura controllata. Lieviti neutri che non invadono il prodotto dato che facciamo una rifermentazione che la caratterizza appieno. La particolarità è proprio questa rifermentazione in stile metodo classico.”
L'immancabile Albana DOCG
I terreni a Brisighella permettono a Tenuta Uccellina di posizionarsi nell’Albana di Romagna DOCG. Anche in questo caso la famiglia Rusticali sceglie una filosofia di altà qualità puntando sulla poca produzione che il poco terreno collinare gli concede. Hermes sottolinea che in Emilia Rogmana esistono tre linee di pensiero che ruotano intorno a questo vitigno e quando si decide di produrlo si abbraccia una di queste tre “ Noi sposiamo la linea che vede l'albana come un prodotto cui bisogna dare maggiore bevibilità e quindi andar incontro a raccolte leggermente precoci, limitando l'alcolicità ai 13% circa e sfruttando invece l'acidità che questo vitigno ne ha da vendere. A cui vengono dati seguito dei lunghi affinamenti per completarla in tutte le sue componenti.
Poi c'è una linea di pensiero che sposa appieno le caratteristiche dell'albana. Quindi raccolta delle uve a maturazione completa con uno sviluppo alcolico di 14- 14,5% e puntando sulla struttura, corpo e colore di questa varietà. Un vino veramente molto importante.
Allo stesso tempo sono nati prodotti propri come ad esempio l' affinamento in anfora. Con l’intenzione di presentare qualcosa di innovativo”.
Una salita che non spaventa Tenuta Uccellina
La famiglia Rusticali è ben consapevole che la scalata verso l’alto di vitigni autoctoni in Emilia Romagna non ha strada facile come può avvenire in altre zone d’Italia, ma questo viene visto come una sfida e non come un impedimento. “Purtroppo la nostra tradizione è legata ai vini massali. Io me ne accorgo quando parlando con dei clienti fuori regioni mi fanno notare che le conoscenze della viticoltura regionale sono limitate appunto a questi prodotti.
Fortunatamente inizia ad esserci un po di fermento. Soprattutto nelle aree collinari. Soprattutto intorno all'albana si può costruire una nuova immagine della romagna. Ma è importante anche capire le differenze tra i vari sangiovese di romagna. Abbiamo tante zone in cui viene prodotto ed in ognuna ci sono delle particolarità.”
Vigna e cantina
L’area in cui insistono i terreni di Tenuta Rusticali ha una sua particolarità. Da un terreno pianeggiante vicino al mare alle zone collinare che portano verso il sud est che gli permette di sfruttare le caratteristiche dei diversi vitigni
Tenuta Uccellina, la vigna
A differenza di quanto avviene per altre uve, il Longanesi ha bisogno di un terreni che, teoricamente, non si sposerebbe con i rossi. Quest’aera sembra invece perfetta per quest’uva. “Abbiamo la vigna di medio impasto vicino al fiume, molto morbida, mentre andando verso l'interno troviamo terreno con più presenza di argilla e quindi più duro.
Il terreno morbido ci aiuta a mitigare la forza del longanesi e a sfruttare l'ampiezza aromatica del famoso. L'area è comunque interessata da temperature alte e la piovosità nei periodi estivi è scarsa. In questa situazione la differenza la fa volontà del produttore.”
Nella vigna e in cantina hanno pratiche che si portano avanti ormai da anni, rivisitate dall’ingresso in azienda di Hermes “L'area in cui ci troviamo e le condizioni pedoclimatiche ci hanno portato ad utilizzare in vigna una lotta integrata. In cantina cerchiamo di avere il massimo rispetto per le uve, con dosaggio di solforosa al limite del necessario ed in fase di diraspatura così da andarla a perdere. Infine il minimo indispensabile per la copertura in fine fermentazione.”.
Mercati e premi per Tenuta Uccellina
Tenuta Uccellina da ventanni si sta posizionando nel mercato italiano. Diverse le strade intraprese, senza dimenticare i vantaggi di far conoscere il proprio vino oltre i confini nazionale, ma soprattutto cercando di ottenere i riconoscimenti delle critica che, spesso, si tramutano in premi. “ Abbiamo lavorato i nostri prodotti in Giappone, attualmente abbiamo un importatore in nord Europa, Belgio, Danimarca e Germania. Per due anni sono stato in Cina e ho trovato dei contatti importanti. Oggi la componente estera cuba il 30% della mia vendita. Il 50% è indirizzato verso la ristorazione che può essere diretta o tramite distribuzione sia regionale che fuori regione.
Il resto delle vendita avviene tramite la cantina direttamente verso i nostri clienti. La critica invece da anni ci riconosce diversi premi , soprattutto sul Burson.” Tenuta Uccellin in effetti sale sul podio ormai annualmente nei concorsi Wine Hunter, `Gold`` al Gilbert & Gaillard International Challenge, Gran Medaglia d'Oro al Concours Mondial de Bruxelles , Decanter e la troviamo nelle prestigiose guida Ais.
La Degustazione
La degustazione
Biribesch
Partiamo dal primo vino degustato. Si inizia da una bollicina con fermantazione in acciaio e rifermentazione in bottiglia. Prodotto ottenuto dal vitigno Cavecia, altro autoctono su cui l’azienda intende puntare. Un vitigno che in passato veniva utilizzato per il vino di consumo casalingo. Oggi se ne trovano pochissimi filari. Tenuta uccellina non fa eccezioni, la produzione è bassissima. Coltivato in una zona esclusivamente pianeggiante a circa 15 metri sul livello del mare alle porte di Faenza. Ha con se diverse caratteristiche del metodo classico, in particolare un bolla delicata e un leggero sentore di lieviti.
Dal colore giallo chiaro brillante con qualche riflesso verde, racchiude la sua identità aromatica tra gli agrumi, i fiori bianchi ed erba tagliata. In bocca il frizzante e la bassa alcolicità lo rendono vivace, di buona bevibilità. Aiutato anche da una struttura perfetta per un vino da aperitivo. La retrolfattiva agisce con discrezione lasciando palato , bocca e gola puliti e asettici, pronti per una nuova degustazione.
Famoso
Rambèla , Famoso Ravenna IGT
E subito passiamo ad un altro autoctono in pole position. Il Famoso. Degustazione che ci ha portato via diversi assaggi per poter identificare con chiarezza e nel dettaglio questo prodotto. Alla cieca probabilmente ingannerebbe diversi abili degustatori. Il rambèla è ottenuta da una vinificazione e fermentazione in acciaio. così da assumere connotati giovani, freschi, scalpitanti. Quasi esuberanti. Si presenta con un giallo paglierino acceso. All’inclinazione del calice spiccano evidenti riflessi verdognoli. Naso pieno, soddisfatto. Gelsomino e margherita fanno da apripista alla frutta esotica. In particolare ananas e papaya. Poi gli agrumi. Pompelmo rosa insieme ad un po' di lime. Infine arriva la salvia e leggere note balsamiche.
No, non è gewurztraminer. E’ un vino meno famoso, o meglio è il Famoso lavorato con maestria. Se proprio vogliamo essere pignoli potremmo aggiungere che ha gli aspetti accattivanti del suo antagonista senza le sue controindicazioni. Ovvero l’abbinabilità. Infatti in bocca spicca la nota acida e fresca che ben limita la componente zuccherina, creando un bilanciamento sicuramente più adeguato al palato senza perdere morbidezza. Ne fanno un vino sicuramente più bevibile. Con il quale si può passare un serata davanti a una escalation di primi di mare. La retrolfattiva ha carattere. Non si nasconde. In compenso non risulta mai eccessiva. Le note restano prevalentemente floreali e agrumate, sostenute da una sapidità in fin di bocca che ne regola la permanenza. Il risultato è un finale equilibrato, piacevole, invitante.
Albana di Romagna DOCG.
Annata 2020. Altro che vino giovane. Questo sa già il fatto suo. A prima vista un bel giallo paglierino intenso. Ma basta distenderlo sul calice ed ecco emergere i primi lineamenti dorati. Un Albana di buona densità, robusto. Al naso spicca soprattutto la mineralità .Tanta mineralità. Un prezioso sentore di breccia calda al sole estivo. Immancabili agrumi con note accentuate di lime e pompelmo rosa. Infine fiori bianchi di campo. Appena colti. Margherita in pole position. In bocca è corposo. Strutturato. Mai invadente nonostante una decisa acidità e soprattutto una sapidità che strappa attonimento. Quasi inaspettata.
Un vino che gioca sicuramente sulle note dure, e qui risiede la sua gioventù, declamando a chiari lettere buone capacità di invecchiamento. Il retrogusto post bevuta resta salato e acidulo con note minerali e agrumate, perdendo la delicatezza del fiore. Un media persistenza che gratifica la bevuta chiamando un altro sorso, ma con moderazione. Un compagno di viaggio a tavola che si presta a confrontarsi con una ampiezza di piatti che ruotano intorno al mare, alla sapidità del pesce ammorbidita dall'amido della pasta. Oppure azzardare una carne bianca.
Blu Di Burson.
Assaggiamo l'annata 2019. Giovane. Ma già molto interessante. A calice fermo espone un rosso rubino intenso ma basta adagiarlo un pochino per trasformarlo in un rosso porpora acceso. La rotazione è agile ma il Longanesi si aggrappa con tutte le sue forze al bicchiere. Preludio di una densità mai nascosta. Al naso sprigiona una forte aroma di china. Mescolata a Rabarbaro, geranio e cardamomo. Una delicata frutta rossa che spazia tra il lampone e il mirtillo. Leggere folate balsamiche. In bocca si muove verso le componente dure. Molta acidità. E' imperante. Il tannino è giovane ma risulta più discreto. La sapidità circa di fare da moderatore in una situazione complicata.
Tutto ciò lo rende un vino gradevole ma non del tutto facile. Un Burson che va dosato con parsimonia nonostante i suoi 12,5 gradi. Perchè la componente calda e alcolica si fa sentire. Alzando un pochino l'asticella della struttura. L'attacco è aspro e rilascia una gustosa retrolfattiva amarognola che stazione sulle note floreali e fruttate. Non molto lunga ma sicuramente molto franca. Polivalente negli abbinamenti. Potrebbe essere utilizzato con dei primi a base di carne o dei secondi che non richiedano una complessa lavorazione.
Vino Burson
Burson etichetta nera 2009.
Ebbene si. Dodici anni sulle spalle per questo vino che si presenta in ottima forma. Deve sgranchirsi un pò le gambe. Va lasciato nel calice e aspettato. Qualche rotazione di tanto in tanto per aiutarlo nel risveglio. E d'incanto emerge in tutto il suo splendore. A calice fermo ha una tonalità rossa scura, imbrunita. Invalicabile. Inclinandolo la luce gli dona un sorriso granato. Un granato scuro ma ben evidente.
Una volta tornato in vita l'intensità dei profumi attacca il naso a distanza. Non serve certo immergersi nel calice per capirne la fisionomia. E' un'esplosioni di sentori che donano un profumo vintage ed elegante allo stesso tempo. Grande eleganza. Impatto iniziale repentino di marmellata di ciliegie e amarene sotto spirito. Poi una delicatissima e maliziosa prugna a farsi spazio insieme al ribes nero. Non manca il mirtillo. Un mirtillo molto maturo. Caldo. Anche qui troviamo il rabarbaro e il cardamomo. Emergono anche note sparse di violetta. Lasciando traspirare il vino per ancora qualche minuto escono anche degli incantevoli fiori essiccati che lo rendono affascinate.
Come per il Burson etichetta blu troviamo la china. Ma stavolta è meno definita perchè si mescola con la grafite, creando un binomio minerale bilanciato e di estrema finezza. Poi i terziari. Un botta ben fatta. La tostatura è delicata e sottile. Caffè e cioccolato creano una base calda su cui si adagia la vaniglia, la cannella e la radice di liquirizia.
Ma poi , aspettandolo ancora un pò, ecco che è arriva quella balsamicità che non ti aspetti. Erbe officinali e tè verde con punte di ginepro e alloro.
In bocca ha corpo e struttura in abbondanza. L'attacco è morbido ma poi non si risparmia in freschezza. Il tannino è vellutato ma non dimostra assolutamente l'età che ha. E' un gioco di equilibri che permette alla bilancia di pendere seguendo il percorso del vino nel palato. Dimostrando quanto questo prodotto può ancora offrire nella sua evoluzione.
La retrolfattiva è franca, pulita. Ritroviamo tutto o quasi tutto ciò che il naso aveva scoperto. E' un tutto che si propone nel corso della post gustativa. Emergono subito i frutti rossi e restano a lungo. Poi lasciano rapidamente il terreno ai terziari e alla balsamicità. Quest'ultima molla la presa poco dopo lasciando il palco al caffè, cioccolato e vaniglia. Disperdendo un pò la liquirizia. Il gioco che si crea con i frutti molto maturi lascia quel senso vintage di sapori genuini. Gradevoli. Affascinanti.
Una bevuta lunga. Impegnativa. Da affrontare quando si è in forma perchè è un vino che richiede presenza mentale. Un'esperienza seducente. Pericolosa alla stesso tempo. Si , è meglio farla con l'etichetta davanti. Dove viene indicato a chiare lettere che si tratta di un Burson. E' un velato consiglio a non fare scommesse ad occhi chiusi. Questo vino potrebbe mettervi in seria difficoltà.
Dorothea, Albana di Romagna passito 2006.
Il vino passito che avrei sempre voluto assaggiare. Ed ogni volta che avvicinavo il calice mi chiedevo se fosse la degustazione giusta. Questo vino stava aspettando me da 15 anni. Ammetto che ho avuto delle esitazioni prima di aprirlo. Sapevo che questo prodotto è unico, non ce ne sono altri e mi chiedevo se era il caso di stapparlo oppure attendere ancora. Ho fantasticato sul momento migliore. Prima nel finire dell'estate. Poi ho posticipato in autunno. Infine ho optato per i primi freddi invernali. Scelta saggia.
Ho provato piacere nel versare questo nettare. La consistenza si captava nel trasferirlo dalla bottiglia al calice. Scendeva con densità e compattezza. Mantenendo chiaro e lucente il suo color oro acceso. L'ho lasciato respirare. Come mi sembrava giusto fare con un vino che da tre lustri riposava in quiete e calma. Ma già mentre osservavo il calice ad un buona distanza , giungevano dei delicati profumi zuccherini, vanigliati, di crema pasticcera. E così non ho saputo attendere e ho portato il calice al naso. Non troppo, più di un palmo.
Soave arriva una ventata di miele che sostiene i sentori che precedentemente mi avevano così invogliato. Poi una bellissima sensazione di frutta gialla essiccata. Emergono fragranze di pesca e albicocca matura, insieme ad una nitida buccia di arancia. Si percepiscono in modo netto anche i fiori appassiti. Ma il tutto resta molto delicato. Avvicinando ancora un pò il bicchiere, il naso viene accarezzato da una sensazione burrosa e una nota di castagna cotta. E tra i tanti profumi ecco che fa capolino il dattero insieme ad un leggero soffio mentolato.
In bocca mi aspettavo un vino dolce ma equilibrato. E questo ho trovato. Non è assolutamente un passito stucchevole. Anzi è uno di quei vini dolci che non stanca la bevuta. Grazie sicuramente ad una sapidità leggera ma presente e una acidità ancora in forze nonostante gli anni. Un equilibrio che questo genere di vini fa fatica a trovare e dove la necessità dell'abbinamento è quasi d'obbligo. Il passito di tenuta uccellina ha un bilanciamento che, oltre ad accompagnare pasticceria secca e formaggi, può essere degustato in solitaria, immergendosi in una degustazione meditativa.
La retrolfattiva è lunga. Senza se e senza ma. E' decisa, netta, protagonista. Le note di burro, vaniglia e frutta essiccata restano molto nel palato. Accompagnano con gentilezza il passare del tempo, restando presenti e costanti. Si lasciano cadere senza andare in degradazione ma con una uscita di scena lenta e con discrezione.
Conclusione
Come sempre i nostri viaggi in cantina si concentrano verso produttori che hanno unicità e particolarità da poter condividere. Con Tenuta Uccellina, insieme ad Hermes Rusticali, abbiamo trovato molto di questi requisiti, cui si aggiunge la qualità e la competenza di un’azienda che coniuga vecchio e nuovo con semplicità. Continueremo a seguirla, sicuri del loro percorso di crescita. Visita il loro sito ufficiale per entrare nel loro mondo.
Consorzio Vini Doc Cori. Inaugurato il Consorzio Volontario per la Tutela e la Valorizzazione dei Vini D.O.C. Cori ed è subito guerra al Kiwi. Nel quattrocentesco chiostro di Sant’Oliva le aziende fondatrici Carpineti, Molino7cento, Tenuta Filippi e Cincinnato, insieme al sindaco di Cori Mauro De Lillis e l’assessore all’agricoltura del comune di Cori Simonetta Imperia hanno presentato ufficialmente il progetto nato il 13 maggio scorso.
A sostenere questo impegno anche l’assessore regionale all’agricoltura Enrica Onorati e il dirigente Arsial Claudio di Giovannantonio.
Consorzio Vini Doc Cori. Cosa è.
A capo di questo nuovo soggetto troviamo Nazzareno Milita nel ruolo di presidente, Marco Carpineti sarà il suo vice, mentre Simonetta Imperia occuperà il posto di Direttore Generale.
Scopo del consorzio è la valorizzazione, tutela , promozione e informazione delle denominazione Cori, ed in particolare una delle sue eccellenze, il Nero Buono. Un vitigno antico e sconosciuto che ha trovato dimora nel piccolo comune di circa 10 mila abitanti divenendo ben presto un prodotto caratterizzante del luogo e della cultura. Negli ultimi anni l’attenzione delle aziende vinicole verso quest’uva ha dato vita a progetti di etichette DOC Cori con utilizzo esclusivo del Nero Buono.
In questa area il vino non è l’unica eccellenza, troviamo anche una importante produzione di olio di qualità, insieme a lavorazione tipiche e tradizionali come il prosciutto cotto al vino e le ciambelle scottolate. Ma era giunto il momento di premere sull’acceleratore in ambito vino e catapultare il nero buono in ambito internazionale.
Il Sindaco De Lillis traccia le linee de Consorzio Vini Doc Cori.
Passo imprescindibile era proprio la comunanza di intenti tra la parte privata imprenditoriale e quella politica. “Oggi si scrive una pagina importante”, dichiara il sindaco De Lillis, “finalmente le aziende che hanno creduto e che credono in questo vitigno si uniscono per perseguire il medesimo obiettivo, raccontare la storia e la cultura e l’identità di questi territori.
In questo viaggio ci sarà la comunità di cori. Il comune fa parte del consorzio e la sede sarà la sala consiliare. Oltre ad essere una operazione tecnica scientifica, ricopre anche un’importante azione politica. Strumento più efficace di tutti gli altri per valorizzare il prodotto e Cori. Informando sulle nostre tipicità. ”
Il consorzio è il primo nato nella provincia di Latina, Cori quindi si fa promotore anche di azioni di avanguardia, anticipando tutti rispetto ad uno strumento che in Italia da anni viene utilizzato con successo. Basta pensare ai consorzi del Brunello, della Valpolicella, del Barolo e Barbaresco, ma senza scomodare i grandi basta pensare ai consorzi del verdicchio, del lambursco di Modena o del barbera del monferrato. Strumenti che hanno permesso alle aziende di unire le proprie forze economiche, organizzative e gestionale così da permettere la diffusione del brand.
Tra i compiti del consorzio ci sarà anche il recupero di sostegni economici e l’accesso ai fondi per consentire alle aziende di partecipare a promozioni ed eventi a livello internazionale. Appuntamenti che non sono affrontabili in solitaria e che necessitano di sinergia.
Il sindaco pone poi una pietra pesante su questa struttura “Un’azione importante che dovrà porre il consorzio sarà l’attenzione verso l’invasione sui nostri territori di produzioni che stanno consumando i territori stessi, sia sotto l’aspetto paesistico che sotto l’aspetto del consumo delle nostre risorse idriche. In modo particolare dalla produzione del kiwi. Che se da una parte è vero che sia una opportunità allo stesso tempo non significa che i nostri territori debbano essere saccheggiati”.
Il problema del Kiwi
Visione che ci vede assolutamente d’accordo. Noi di Enoracolo da anni siamo attenti all’autoctono, basti pensare ai numerosi articoli di ricerca che abbiamo fatto sulla Massaretta oppure sul Longanesi o il Trebbiano Verde. Il Filosofo tedesco Ludwig Feuerbach diceva che l’uomo è ciò che mangia, a noi piace esaltare questa affermazione aggiungendo che l’uomo è anche ciò che beve. E nel vino c’è la storia di un popolo, di una cultura. C’è il racconto di uomini e donne che hanno solcato un territorio e per questo va preservato.
Negli ultimi anni il territorio che circonda Latina fino ad arrivare a Cisterna , Aprilia e Castelli Romani è stato preso d’assalto dalle coltivazioni di Kiwi. Le quali hanno portato ad un processo di estirpazione delle vite e di altre colture tipiche. Un frutto di origine cinese che ha poi trovato casa in Nuova Zelanda, adesso ha invaso l’Italia, tanto da fare del nostro paese il primo produttore al mondo superando anche la Cina. Ed indovinate quale è la regione più ricca di queste colture? Ovviamente il Lazio.
Il Consorzio Vini Doc Cori nelle parole dell'assessore Simonetta Imperia
A tracciare la strada del consorzio è stata sicuramente l’assessore all’agricoltura Simonetta Imperia, da anni impegnata nella valorizzazione delle forze territoriale e nelle tipicità del comune di Cori. In questa campagna non solo ha fatto da porta bandiera. Ha assolto il compito di coordinare le diverse anime che chiedevano a gran voce un impegno concreto. ”I produttori restano i protagonisti di questo consorzio, senza di loro non sarebbe stato possibile, e il comune è voluto starci. E’ stata un visione futuristica che noi adesso dobbiamo arricchire di contenuti. La viticoltura ci fa sentire legati ad un territorio che è naturalmente vocato all’agricoltura. Un territorio che è naturalmente legato a questo tipo di produzione.”
Il nuovo progetto parte con un logo che cerca di rappresentare non solo il Nero Buono ma l’intera comunità , sia negli oggetti che lo compongono che nelle forme passando dai colori. Il comune di Cori aveva lanciato un'iniziativa lo scorso giugno, proponeva ai cittadini di presentare una loro idea grafica. La risposta è stata assolutamente positiva e le idee arrivate sul tavolo della commissione erano tutte valide. A vincere il logo, che vedete nell'immagine di apertura , è stato da Dante D'Elia che si aggiudica il premio di Euro 500.
Il Nero Buono in pole.
La partenza è stata scoppiettante e decisa. Le idee sono veramente degne di essere perseguite e il nostro blog pone sempre attenzione verso chi se ne fa promotore. I protagonisti stanno dando segnali importanti e la sensazione è che nei prossimi anni il Nero Buono scali qualche gerarchia in ambito vino. E per chi non lo conoscesse ancora, continui a seguirci, nel prossimo articolo parleremo esclusivamente di lui. Lo racconteremo e vi proporremo le nostre impressioni su tutti i Nero Buono del comune di Cori.
Longanesi. Da un vitigno quasi estinto nasce il vino Bursòn. Oggi vi portiamo alla scoperta di un altro vitigno che ha rischiato l’estinzione. Una ricchezza immensa del nostro territorio che avremmo perso se la caparbietà di pochi uomini e vignaioli non fosse intervenuta a sostegno di quest’uva straordinaria. In questo vitigno non si nasconde solo la storia e la cultura dei suoi acini. Ma c’è un po' di storia e curiosità del sud est romagnolo.Di tutta quell’area compresa tra Ravenna, Forlì e Imola che da secoli fa ruotare su queste uve parte dei suoi vini. Spesso relegati a ruolo marginale a causa dell’approccio massale che per decenni ha alimentato questa regione. Un approccio ai vini di massa che hanno spinto i produttori ad orientarsi verso vitigni più facili da lavorare e più richiesti dal mercato.
Longanesi, la storia di un vitigno e di una famiglia
Partiamo dal presupposto che questa uva prende il nome dal suo salvatore. Uno dei pochi vitigni che omaggia l’uomo che ne ha salvato il destino. Il Longanesi alla fine del 1800 era considerato un vitigno estinto. La fillossera aveva generato ingenti danni e le poche piante ospitate sulla costa romagnola, coltivate più per consumo personale che per vendita, si pensava fossero state spazzate via. Per decenni nessuno ha avuto mai notizie di questa pianta e forse era stata anche dimenticata nei ricordi di coloro che ne assaggiarono gli ultimi calici.
Dobbiamo attendere quasi la metà del novecento. Quando Antonio Longanesi trova nei suoi terreni a bagnocavallo, in provincia di Ravenna, una vite selvatica che si arrampicava lungo una quercia ( così dice la leggenda). Assaggiando l’uva captò le capacità della stessa. Una piacevole dolcezza e una propensione a raggiungere un elevato grado alcolico.
Nel 1956 decide di impiantare dei filari della stessa e provare a proporla. Solo con la costanza e la caparbietà riuscì a raggiungere più palati possibili nelle zone limitrofe, cercando conferme e approvazione del pubblico locale. Diventa così profeta in patria tanto che il vitigno perde il suo nome originario, ovvero il negretto, e viene adottato dalla famiglia Longanesi. Ormai per la gente del luogo quel vitigno si chiamava così. Per alcuni si chiama Bursòn, ovvero il soprannome che Antonio aveva fin da ragazzo. Da questo soprannome nasce l’omonimo vino. Certo per la nascita ufficiale di quest’ultimo si è dovuto aspettare ulteriori 40 anni.
Solo nel 1996 l’enologo Sergio Ragazzini, responsabile della cantina didattica presso l’Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente di Faenza, e il viticoltore Roberto Ercolani decidono di scommettere su questo vitigno e di produrre 780 bottiglie da proporre sul mercato. In onore di Antonio Longanesi il vino non poteva che chiamarsi Bursòn.
Successi e fatiche del Longanesi
Il successo è immediato. Servono però altri 4 anni per ottenere gli esami del dna e le certificazioni necessarie per l’iscrizione di questa uva al Registro delle varietà. Dal 2000, con il nuovo secolo, in Italia abbiamo un’altra risorsa per la nostra viticoltura.
Non tutto è stato rose e fiori. Il cammino di questo vitigno per essere riconosciuto sulle tavole italiane è stato simile ad un altro prodotto delle nostre vigne di cui vi abbiamo già parlato. Mi riferisco alla Massaretta. Degustata anche durante la nostra recensione alla cantina Vini Apuani di Roberto Castagnini.
Le difficoltà ruotavano quasi esclusivamente sulla forza e struttura di questo vitigno che mal si scontravano con la richiesta del mercato degli ultimi 50 anni del secolo scorso. Il Longanesi ha un importante grado zuccherino, inoltre ha una livello di polifenoli che si attesta sui 3500. Per un rapido confronto basta pensare che il sangiovese si attesta tra i 1800 e i 2000 . Quasi il doppio per intenderci. Contiene circa 12 mg/litro di glicerina, mentre il sangiovese si ferma ad un valore tra i 6-8 gr/litro.
L’Estratto invece non scende mai sotto i 30 mentre il sangiovese non sempre riesce a raggiungere questo parametro. Il tannino in questo vitigno ha una presenza quasi esagerata. Tutto ciò lo rendono un prodotto di non facile bevuta. Richiede un certo impegno. E i primi insuccessi degli anni novanta sono legati proprio all’aggressività al palato che lasciava durante l'assaggio. Un sorso o due erano più che sufficienti per ritenersi soddisfatti della degustazione. Qui entra in gioco il parallelismo con il vitigno Massaretta o Barzaglina. Il vitigno doveva essere addomesticato. Solo l’ingegno di Ragazzini e Ercolani, in collaborazione con la famiglia Longanesi riuscì a trovare una strada percorribile per la messa sul mercato del Bursòn.
Il processo di lavorazione del Longanesi
L’uva si presta ad essere appassita. E questo vantaggio è stato sfruttato pienamente. L’idea di fondo era quello di appassire l’uva aumentando il grado zuccherino e bilanciando le componenti dure con un po' di morbidezza. Il secondo passo è stato quello di affinare il vino in botti di legno per almeno due anni. Questo processo smussava il tannino senza mitigare più di tanto l’acidità, ottenendo un vino sicuramente più equilibrato ma senza perdere la struttura. Rimane comunque un vino impegnativo. Con questo processo viene infatti prodotto il Bursòn etichetta nera. Indirizzato ad un pubblico più esigente.
Parallelamente si è pensato ad un macerazione carbonica , sempre con l’intento di mitigare l’impatto tannico ma agevolando le note e la freschezza del frutto, in funzione di un prodotto più pronto alla bevuta. Con questo processo nasce l’etichetta blu Bursòn.
E’ interessante l’area in cui si posiziona il Longanesi. Il territorio è quasi esclusivamente pianeggiante. La presenza di argilla è bassissima mentre è elevata la capacità fertile del terreno. Perfetto per questo vitigno che tollera anche la siccità. Per i vignaioli del luogo aver trovato una pianta a bacca rossa che si spossasse con il loro terreno è stata una vera e propria fortuna.
Un consorzio per il Bursòn
A vegliare su questo lavoro c’è la nascita del consorzio di Bagnacavallo. Nato nel 2000 a coronamento del processo di rinascita del Longanesi. Il consorzio è composto da piccole e micro imprese, circa un decina, nei comuni di Bagnacavallo, Lugo, Russi, Godo, Fusignano e Cotignola. Il Bursòn rientra nella ipg Ravenna, ma il consorzio ha voluto fare un passo avanti e si è dotato di un proprio disciplinare che pone ulteriori restrizioni. Quali ad esempio un appassimento di 45 giorni e un invecchiamento in botte minimo di 2 anni per il Bursòn etichetta nera e un affinamento in barrique per almeno 6 mesi per l’etichetta blu.
Il lavoro dell’associazione è relativo alla valorizzazione e promozione del prodotto, permettendo un tavolo di incontro tra le diverse anime del consorzio cercando di convogliare le richieste in un fronte comune per non disperdere le già esigue risorse. Tra le sue attività la partecipazione ad eventi. Le relazione pubbliche con la stampa e le istituzioni, la cura dei canali social per la promozione, e la programmazione di spostamenti per la presenza ad incontri e meeting, quali ad esempio le partecipazioni alle degustazioni o al vinitaly.
Conclusioni
Oggi il Bursòn è riconosciuto come vino di grande qualità che ottiene il favore del pubblico e della critica. Tanti sono i premi che questo prodotto ha portato nelle bacheche delle poche cantine che lo producono. Purtroppo la sua produzione è bassissima, circa 80000 bottiglie l’anno, e la sua capacità di aggredire il mercato, di conseguenza, è ancora più bassa. Interessante il fatto che la scena internazionale regali a questi viticoltori più soddisfazioni che non la scena nazionale. Di fatto oggi proponiamo sui nostri mercati e sul mercato estero una ricchezza che rischiavamo di perdere. Guardiamo in casa. Continuiamo a concentrarci sulle nostre forze, sulle nostre capacità, ne abbiamo molte , in tutta Italia.
Noi siamo scesi in una cantina per conoscere da vicino il vitigno Longanesi ed assaggiare il Bursòn. Leggi come è stata la nostra esperienza. Inoltre tieniti in contatto con il consorzio che tutela questa splendida realtà.
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