
Marco Capitoni è una piccola realtà nascosta tra gli splendori della Toscana. Si percorre la strada che da Montepulciano porta a Pienza. Immersi nel paesaggio incantevole ed incontaminato della Val d’Orcia. L’Unesco ha inserito questi luoghi nella World Heritage List. E proprio all’interno del Parco Artistico Naturalistico della Val d’Orcia è possibile percorrere una strada bianca tra vigne, ulivi, boschi e cipressi che ci conduce all’azienda Capitoni. Una cantina dove troviamo l’accoglienza vera e tradizionale appartenente solo a coloro che sono custodi di antichi usi e costumi contadini. Dove le persone hanno ancora valore sopra le cose.
Panorami di Val d’Orcia a casa Marco Capitoni

In questo luogo, ad accoglierci, Marco Capitoni che ci conduce in un viaggio enoico che non potevamo non raccontare. Quella che doveva essere un visita in cantina si trasforma ben presto in un percorso unico e indescrivibile nel mondo del vino che tocca i temi dell’Orcia, del biologico, dell’anfora e tanto altro attraverso i sapienti racconti di un imprenditore vinicolo che abbina etica produttiva ad una capacità comunicativa senza eguali. Avremmo potuto scrivere una enciclopedia con le testimonianze di Marco Capitoni. Dobbiamo limitarci ad un articolo, cercando di trasmettere tutto ciò che abbiamo visto e provato nella sua azienda, sperando di non dimenticare ne tralasciare nulla.
Appena arrivati, ad attenderci le strutture della tenuta storica di famiglia. Di fronte a noi si ammira tutta la vallata. In quel preciso momento capiamo di trovarci in un luogo unico in termine naturalistici e che, dietro questo quadro, avremmo scoperto una cantina fuori dal comune, e che in quel quadro è parte integrante.
Alla scoperta della cantina Marco Capitoni

L’azienda si estende su una superficie di 50 ettari, solo 7,5 di questi sono destinati alla vite, al momento sei ettari sono in produzione mentre un ettaro e mezzo sono stati reimpianti e ancora in attesa di fornire uve per la vinificazione.
La cantina è ricca di storia e da questa inizia il racconto di Marco Capitoni. “Ci troviamo a podere Sedime. L’archivio di stato senese riporta come data registrazione il 1692 e facente parte della comune di Fabbrica. Nel 1962 mio padre e i miei zii acquistarono il podere”. Agli albori podere Sedime era un’azienda agricola che puntava la maggior parte degli effettivi sui cereali. Nel 1994 quella che era la nuova generazione, ed in particolare Marco, ridefiniscono le linee aziendali e dal grano si intraprende in modo più deciso il settore vino.”Prima lavoravamo i cereali. Purtroppo la materia prima che noi pensavamo e producevamo poi si perdeva in tante altre lavorazioni. Il vino invece è censito. E’ la forza di una etichetta. Nel vino intravedevo una crescita dell’azienda che non poteva offrirmi il cereale.”
La ristrutturazione dura quasi sette anni , questa è stata l’attesa per ottenere la prima etichetta Capitoni capace di rispecchiare la natura della sua famiglia e degli edifici storici. “Abbiamo pensato di ricavare la cantina dalle strutture esistenti senza alterare il territorio con nuove costruzioni.”
La visuale del territorio è un diapason che da il LA a Marco per raccontarci l’azienda.
Ambiente e territorio
“Da qui, in fondo alla valle, si intravede il Fiume Orcia. Dalla vallata si apre un canalone che prosegue verso nord, ovvero sul crinale con la val di chiana. Noi siamo esattamente al confine con le due valli e la nostra posizione ci permette grandi escursioni termiche senza il disagio della nebbia e quindi dell’umidità. Si ferma a valle e qui non arriva.” La posizione dei terreni è strategica. Permette alle uve il giusto mix di luce e temperatura. L’altitudine offre cambiamenti di clima consistenti. Il giorno si raggiungono temperature gradevoli e la sera il fresco, anche in estate, avvolge l’intero territorio. Condizioni che offrono alla vite un ambiente confortevole.
“Gestiamo l’uva con una relativa facilità. Innanzitutto intorno non c’è una monocoltura e questo ci aiuta. Siamo in un’area dove tutti fanno biologico. C’è qualche coltivazione di grano che è in convenzionale ma è molto limitato. Abbiamo mantenuto tutte le siepi di confine e gli inerbimenti, quindi anche dal punto di vista insetti non abbiamo problemi da gestire. Noi abbiamo 15 ettari di bosco che fanno da confine e scudo alle vigne. Dobbiamo invece controllare i patogeni.” Qui il discorso si fa interessante.
Marco Capitoni è un’azienda biologica
Il punto di vista di Marco sulla gestione delle vigne è qualcosa che va raccontato. “No chimica. Mai usata. Solo derivati del rame e dello zolfo. Dal 2019 stiamo facendo una riduzione importante del rame.” Il dettaglio fa la differenza . “Lo facciamo attraverso gli induttori di resistenza. Anziché colpire la spora del fungo patogeno con un principio attivo, mettiamo in condizione le piante di difendersi. Per farlo utilizziamo il lievito del pane. In quanto microrganismo viene percepito dalla vite come patogeno attivando le sue difese, appena arriva la peronospera e lo ioidio lei riesce a difendersi. Non possiamo fare più di due volte questo trattamento altrimenti la vite non ci crede più.
Tanto lavoro per un solo, unico, grande scopo “Se posso fare una sintesi , l’obiettivo è riuscire ad ottenere la migliore uva in termini di qualità, di sanità, di ricchezza nella maniera più naturale possibile. Priorità è riportare la piante ad una sostanziale rusticità. L’obiettivo e riportare la vite ad un equilibrio vegeto-produttivo che ci consente di non fare potature estive. Cordone speronato unilaterale o bilaterale in base a sesto di impianto.
Quando le pianta è in vegetazione non dovranno essere tagliate. Le foglie che farà saranno quelle giuste da fare e l’uva prodotta sarà quella necessaria da portare in cantina. Questo equilibrio lo otteniamo dalla gestione dei suoli, se serve facciamo la semina di erbe azotofissatrici o graminacee. C’è poi un momento in cui il tralcio , quando esce dalla parte organizzata, non si taglia ma si piega. Se tagliamo il tralcio la pianta cercherà di ripristinarlo e le risorse che impiegherà non andranno al grappolo ed in particolare ciò avviene nel momento della maturazione.”
Il fattore produttivo alla ricerca della qualità
Come percepito fin dai primi passi in cantina e dall’ascolto dei racconti, avevamo intutio che l’azienda ha in batteria poche etichette e di numero esiguo in termini produttivi . “Gli ettari vitati e l’attenzione verso la qualità ci fornisce un numero molto variabile di bottiglie. Non raggiungiamo mai le 20.000 bottiglie, divise in tre etichette. Spesso ne facciamo meno di 15.000. Alcuni anni siamo usciti con 5.000 bottiglie perché il prodotto non era all’altezza delle nostre aspettative. Per questo a volte le etichette non sono sempre tre, ma a volte due , altre volte usciamo con una sola etichetta.”
Anche la scelta dei vitigni è ridotta agli obiettivi aziendali e rispettosi di quella che è la tradizione della valle. “Abbiamo Sangiovese 100% vinificato in anfora. Sangiovese in blend con il merlot e che esce sempre. Raccogliamo il merlot la seconda settimana di settembre, il sangiovese viene raccolto fine settembre o primi di ottobre. Il sangiovese vendemmiamo per parti di vigneto e per cloni.
Le fermentazioni vengono fatte separatamente e legni diversi e separati anche per l’affinamento. Dopo due anni viene fatto il blend. Il nostro intento è quello di garantire comunque un 10% di merlot anche nelle grandi annate di Sangiovese per mantenere l’identità di questa etichetta.”
Il gioiello di Marco Capitoni
L’ultima etichetta che ci racconta merita un incipit particolare. Un vino fortemente radicato alla famiglia ma sopratutto al metodo storico di fare vino nella val d’orcia.
“L’altra etichetta lo incasello come vecchio toscano. Una vigna del 1974 piantata da mio padre e dai miei zii. Oltre il 90% di piante sono sangiovese, c’è un po’ canaiolo e un po’ colorino, anche perché qui siamo in zona chianti colline senesi. Però noi crediamo nel progetto Orcia Doc e preferiamo uscire con questa etichetta anziché con la Chianti Docg. Il nome di questo vino è Frasi. E’ un unicum, una vigna , una botte, un vino. O sono 4.000 bottiglie o sono zero bottiglie. Esce solo nelle annate migliori. Al momento c’è fuori la 2019 e la 2020. Non abbiamo fatto uscire la 2017 e la 2018”
Filosofia ed etica produttiva di Marco Capitoni
Capitolo a parte merita il discorso delle scelte aziendali fatte per arrivare a questa idea di prodotto. Un percorso fatto di passi avanti, tanti tentativi, tante sperimentazioni. Ogni nuova scoperta nasceva da un idea di Marco sulla propria filosofia di fare vino. E a lui lasciamo raccontare il percorso fatto.
“Noi per scelta il risultato finale del vino deve arrivare dalla vigna, dall’annata e dal nostro lavoro. Questo significa fermentazioni spontanee, non si inoculano lieviti sia in alcolica che in malolattica. Non si fanno chiarifiche, non si fanno stabilizzazioni.Negli anni novanta ho deciso di cambiare la filosofia aziendale, ho reimpiantato e deciso di imbottigliare.”
Gli anni novanta diventano il viatico per entrare nel mondo del vino con entrambi i piedi. “Nelle vigne piantate nel 1999 ho voluto attingere alle tre realtà che ci fanno da confine. Prugnolo gentile, Sangiovese più importante, e due cloni chiantigiani con il quale facciamo il Troccolone. Idea nata nel 2010 e la prima annata importante è stata la 2015. Parliamo di un vino in anfora cui sono arrivato attraverso un percorso. Mi sono trovato delle uve con delle componenti olfattive che dovevano essere esaltate. Io ho sempre avuto un rapporto particolare con il legno, non doveva mai stravolgere la natura dell’uva. Non mi dava i sentori che ricercavo.
Ho fatto degli esperimenti e sono passato a microvinificazione in acciaio da 5 ettolitri con il microssigenatore, simulando il lavoro del legno senza le cessioni. Già ottenni risultati interessanti. Sono passato a barrique molto vecchie con microssigenatore. Che però era rischioso per cessioni non piacevoli. Io volevo l’esaltazione del frutto. Inizialmente mi scoraggiarono nell’intraprendere il percorso dell’anfora. Nel 2012 provai delle anfore artigianali fatte con l’argilla dellla valle. Ma non reggeva. Arrivò quindi il 2015 , quando acquistai le anfore da Impruneta fatte con argilla di ere geologiche più vecchie rispetto alle nostre. Noi diraspiamo prima di depositare l’uva in anfora. Il nostro pigiato è un chicco appena aperto, che permette la fuoriuscita del mosto ma che non si schiaccino i vinaccioli. Manteniamo il vino in anfora per circa 10-11 mesi.
Come si lavora in cantina

Al momento l’azienda conta sulla consulenza di un agronomo e un’enologo. “Ricerco sempre il confronto. Loro hanno il bagaglio conoscitivo organolettico, inoltre riescono a capire fenomeni che io percepisco ma che non so spiegare. Ma soprattutto danno dei pareri esterni incondizionati. “
Si dimostra comunque un vignaioli di ampie vedute. L’eccesso non fa mai bene e l’intransigenza è nemico pubblico numero uno. Con questo approccio ha affrontato il tema del biologico sia in vigna che in burocrazia “Ci sono delle cose che pur non piacendoci non possiamo farne a meno. Però dal momento che ho un’alternativa devo utilizzarla. Ho una alternativa al diserbo chimico? Si? allora la uso.In cantina con l’aggiunta di lieviti selezionati ti fa svettare in soglia di piacevolezza maggiori. Ma il contesto è diverso, posso farne a meno? si? allora devo utilizzarlo. Noi siamo biologici da sempre. Io per un periodo mi sono rifiutato nella certificazione perché mi rifiutato di burocratizzare quello che sempre abbiamo fatto. La tanta carta da presentare mi scoraggiava. Poi però mi è sembrato rispettoso verso il mio lavoro farlo riconoscere e la 2023 è la prima annata certificata per il vino.”
Intraprendenza e tanta sperimentazione
La degustazione del vino in anfora ha suscitato curiosità e domande. Non sono molte le aziende che in questi luoghi hanno intrapreso questa avventura. Tendenzialmente in Italia non abbiamo una grande tradizione di anfora, e la maggior parte degli avventurieri risiede in altri lidi, il friuli ad esempio. Tra Pienza e San Quirico si punta molto sul prodotto tradizionale. Forte del fatto che la certezza di un prodotto facilmente riconoscibile viene premiata dal mercato. Ma a Marco Capitoni facilità e certezze sono due termini che si scontrano con il suo modo dinamico di vedere la vita. E cosi nasce l’anfora di cui ne va assolutamente fiero.
“In anfora le uve restano a contattando con le bucce 8-9 giorni svolgendo poco più della metà degli zuccheri. L’obiettivo è non estrarre troppe parti dure. Puntiamo sul frutto, facilità e piacevolezza. Si rimuovono le vinacce. Si pulisce il tutto. Il mosto fiore torna in anfora e le prime settimane vengono effettuati travasi ripetuti. Poi viene messo 10-11 mesi in bottiglia. Non è pensato per un lungo invecchiamento. Vogliamo esaltare i suoli di fondazione marina su cui risiedono le viti. La bottiglia chiara da contenitore vuole proprio dimostrare che è un vino che per sua natura va gustato giovane per godere con semplicità delle uve.”
Qualche parola anche sul blend Capitoni e sul Frasi anticipano la degustazione. Il primo vino , annata 2021, svolge due anni in legno “ Due anni di botte grandi. Il sangiovese in allier appena tostato. Noi siamo a 460 metri sul livello del mare, questi suoli tendono a freddarsi abbastanza presto e otteniamo uve con acidità sostenute. Dal legno abbiamo quindi bisogno di morbidezza, una spalla morbida dove far appoggiare la vigoria dei nostri vini.”
Il Frasi è l’annata 2020, vino da invecchiamento, “La 2005 è ancora nobile, l’abbiamo assaggiata poco tempo fa, quindi puoi immaginare quanto possano invecchiare. Patiscono più in gioventù che non in vecchiaia. Il tempo riesce ad equilibrarlo.”
Prime impressioni sui vini Marco Capitoni

A fine degustazione ci siamo fatti un’idea dei suoi vini. In ogni bottiglia ritroviamo i suoi obiettivi. Ogni bottiglia un obiettivo diverso, ma in tutte c’è un filo conduttore. Sono vini cui piace differenziarsi. E allora chiediamo a lui quale sia il vino cui tiene di più “hanno tre storie diverse. Il blend è stata la prima etichetta. Andato a prendere le etichette in tipografia, planavo per tornare. Avevo grande aspettative. Sentivo il trasporto verso le generazioni che ci avevano preceduto e mai avevano avuto un riconoscimento del lavoro svolto.
Nel 2005 è uscito il Frasi. Era un modo di misurarti con i blasoni del Chianti. Un millesimo è una frase. Ogni etichetta è una fantasia. Se i vini sono veri allora sono diversi ogni anno e allora ho caratterizzato ogni etichetta con una frase diversa.
Il troccolone è un percorso in solitaria senza un sostegno iniziale. Trovato lo strumento ho concretizzato l’idea. ”
Come la Val d’Orcia si pone sul mercato
Non poteva mancare un approfondimento sul mercato. L’orcia si trova tra due Docg molto importanti, Montalcino e Nobile di Montepulciano. Tutte e tre hanno come tratto caratteristico il vitigno Sangiovese. Era interessante capire se questa zona potesse essere indebolita dal trovarsi tra due nomi cosi importanti oppure se questa condizione fosse trainante. “Trovarsi accanto a Montalcino e Montepulciano è un vantaggio. Soprattutto in termine di enoturismo. Per noi è una risorsa. Perché le persone che vengono per loro poi scoprono noi. Se dovessero venire per l’Orcia probabilmente non susciteremmo lo stesso interesse.
Per quanto riguarda invece l’interesse di mercato siamo convinti di offrire un prodotto di valore che non teme la loro concorrenza. Verso il brunello invece la situazione ha anche un altro aspetto. Il prezzo è cresciuto molto. E questo ci ha aperto delle porte verso i ristoratori.
Quello che manca è una maggiore coesione dei produttori. Nell’Orcia doc siamo 60 aziende ma in poche partecipano a manifestazioni consortili. Siamo numericamente piccoli, in totale produciamo 300 mila bottiglie, una quota estremamente contenuta. Se ci pensate ci sono aziende che questo quantitativo, se non superiore, lo producono da sole. Quindi noi non possiamo avere la forza di partecipare a manifestazione da un capo all’altro del mondo per promuoverci. E’ importante quindi partecipare in modo coeso e collaborativo durante le iniziative consortili.”
La nuova sfida nel consorzio Val d’Orcia di Marco Capitoni
Il tema consortile sta molto a cuore a Marco Capitoni. Da poco tornato ad essere consigliere e a cui vanno i nostri migliori auguri di buon lavoro. Ha le idee chiare anche per quanto riguarda questa situazione e ci lasciamo con un ultima anteprima “Tirar su un bilancio con 300 mila bottiglie è difficile, ma c’è una bella attività. Con un consiglio di amministrazione giovane, con l’obiettivo di puntare la DOCG. Idea nata lo scorso anno puntando sugli autoctoni. Una delle prime proposte era di andare verso un sangiovese 100% e fui inizialmente contrario. Si rischiava una fotocopia tardiva del brunello. Ha funzionato 50 anni fa. Sono cambiati i tempi e le condizioni”.
L’orcia va avanti spedita. Noi abbiamo conosciuto una grande cantina e grandi vini.
Degustazione
Troccolone 2023
Sangiovese in purezza vinificato in anfora. Visivamente si presenta con un color rosso rubino splendente. Vivace agli occhi e al calice. L’anfora ha fatto bene il suo dovere.
Al naso i sentori del vitigno sono rispettati in ogni piccola scaffettatura. Dalla forte ematicità che lo caratterrizza passando per la viola e la visciola. Emerge con piacevole evidenza una nota vegetale e balsamcia che lo rendono gradevolmente elegante senza essere snob. In bocca è un vino piacevole alla bevuta. La sapidità accompagnata da una netta acidità lo rendono un vino accattivante.
Predisposto alla buona bevuta e alla convivialità. Non dispiace il fatto che, nonostante la gioventù, sia gia un vino sufficientemente equilibrato. Il tannino in breve tempo è diventato più apprezzabile. In bocca resta quanto basta ponendosi a metà strada tra l’essere sfuggente e diventare predominante. Alla fine risulta un vino che non richiede morbose fantasie di abbinamento ma si lascia apprezzare anche con i piatti più semplici.

Capitoni Orcia Riserva Doc 2021
Il blend di Marco Capitoni si basa al 80-90% su Sangiovese e il restante sul Merlot. Nonostante la piccola parte dedicata al vitigno francese la sua presenza è ben evidente. Il colore rosso rubino accesso è molto più prodondo rispetto al troccolone.
Al naso i profumi del Merlot contornano con sapienza le note del Sangiovese. E cosi insieme all’ematicità, la viola e la ciliegia ecco emergere componenti speziate. Il passaggio in legno ha donato delicate note di cioccolato e caffe senza impattare troppo sull’uva.
In bocca è un vino che fa della piacevolezza il suo punto forte. Morbido quanto basta per mantenere una freschezza gioviale. Il tannino è levigato e l’approccio iniziale al primo assaggio è delicato. In fin di bocca magicamente veniamo abbandonati dalle note terziarie e restiamo accompagnati dai sentori primari di Sangiovese e Merlot. Retrolfattiva che è decisamente più lunga rispetto al Troccolone pur restando nei limiti di una post degustativa gradevole.
Frasi, Orcia Doc Sangiovese Riserva
ùdi questa etichetta abbiamo degustato sia la 2020 che la 2019. Come tradizione vuole tanto Sangiovese con un pizzico di Colorino e Canaiolo. E’ sicuramente il vino più strutturato tra i tre. Quelli che si apprezza meglio dopo un invecchiamento in bottiglia. Si nota la sua forza fin dal colore, un rosso rubino scuro. Pesante nel calice alla rotazione.
I profumi esaltano la complessità del Sangiovese. E alle note fruttate e floreali escono sentori di sottobosco e funghi con note di carrube. La gustativa regala un’ esperienza regolata da un forte struttura. Il tannino è percebile ma non invadente. L’acidità è ancora la protagonista indiscussa. La 2020 è ancora scalipante rispetto alla 2019 che invece inizia ad ammorbidersi leggermente. La post degustativa è lunga ma non noiosa. In fin di bocca il vino riesce a dinamicizzarsi regalando prima note fresche e fruttare per poi lasciare il palcoscenico a sapori terziari. La 2019 è sicuramente più equilibrata rispetto alla 2020, come è giusto che sia.
‘Ta Toscana Passito Bianco IGT 2019
Ci troviamo di fronte ad un particolarità dell’azienda. Un passito che viene prodotto in pochissime bottiglie ottenuto da Malvasia, Trebbiano e Grechetto cui viene aggiunta un piccola parte di Sangiovese e Merlot. Affinato in caratelli, di diverse tipologie di legno, che vanno dai 5 ai 50 litri e assemblati solo in una seconda fase in acciaio. Il colore è decisamente oro imbrunito con bordi sfumati e ambrati. Si nota subito la sua densità. E’ un vino consitente già nella fase di analisi visiva.
Al naso entusiasmano le note di frutta a polpa bianca disidratata. Ma anche datteri e scorza d’arancia.Vaniglia e cannella si bilanciano insieme alla cera d’api. Non manca la nocciola che è tanto fine quanto gradevole. Per conlcudere un bouquet di erbe officinali alzano la complessità di questo vino. In bocca ha un attacco fresco che si arrotonda immediatamente grazie ad una dolcezza magra tanto basta per non renderla stucchevole. La degustativa è lunga. La retrolfattiva ci regala con franchezza quanto sperimentato al naso. Un vino complesso e da meditazione.
Conclusioni
Un vera scoperta la cantina Capitoni. Ne avevamo sentito parlare. Il suo nome più volte aveva fatto eco nei nostri discorsi. Racconti e aneddoti di chi prima di noi aveva assaporato questi terreni. Storie che si alternavano e ci incuriosivano. Racconti che sicuramente avrebbero trovato posto nel “Bar sotto il mare” che Stefano Benni aveva disegnato per storie fuori dall’ordinario. Come fuori dall’ordinario è questa splendida realtà vitivinicola.
Fortunatissima la scelta di averla visitata durante la nostra partecipazione all’evento Orcia Wine Festival. E calpestando i suoli e ascoltando il suo proprietario abbiamo capito di come quei racconti riportassero solo una piccola parte di tutto ciò, e che visitarla è l’unico modo apprezzarla in ogni suo più piccolo dettaglio.